2023, IL MEZZOGIORNO A RISCHIO RECESSIONE

Nella Manovra non si è scelto di andare dritti verso una visione di Paese che rimetta al centro la produttività e il lavoro

 

Nubi di tempesta non accennano a diradarsi per l’economia meridionale. Dopo aver partecipato alla ripartenza nel 2021, con una crescita del 5,9%, superiore anche alla media dell’Ue-27 (+5,4%), il Sud torna a frenare, arretrando di più di un punto percentuale (+2,9%), a fronte del +4,0% del Nord. Per l’anno che sta per chiudersi, quindi, il Paese si prepara a procedere a velocità differenziate. Non solo. Secondo le stime contenute nel Rapporto pubblicato a fine novembre dall’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno – nel quadro di un affaticamento generale per l’economia italiana, indotto soprattutto dal caro-energia e dall’inflazione più alta dal 1984 (11,9%) – se nel 2023 per il Centro Nord si ipotizza una crescita dello 0,8%, per il Mezzogiorno si ripresenterebbe drammaticamente il segno meno, per l’esattezza -0,4%.

L’eterno ritorno della dicotomia tra le due aree del Paese sarebbe così scritto nei numeri.

Una congrua risposta all’allarme recessione lanciato dalla Svimez poteva arrivare dalla Manovra 2023 – la prima del governo a guida Meloni – ma, in quella varata in Cdm lo scorso 2 dicembre, c’era davvero poco, troppo poco, Sud. La volontà di correggere il tiro per alcune misure destinate al Mezzogiorno dimenticate nella prima bozza pare, però, esserci: inizialmente mancavano infatti sia le agevolazioni fiscali in favore delle imprese del Sud che acquistano beni strumentali nuovi, sia i crediti d’imposta per gli investimenti effettuati nelle ZES e nelle Zone Logistiche Semplificate e per le attività di ricerca e sviluppo in favore delle imprese meridionali. Il dietrofront dovrebbe invece prevederne la proroga per un altro anno.

A preoccupare però non è il singolo provvedimento. Quello che non convince il mondo delle imprese, specie quelle meridionali, è semmai la scelta di non andare dritti verso una visione di Paese che rimetta al centro la produttività, il lavoro e l’occupabilità, preferendo piuttosto spendersi e spendere in decisioni che, seppur non prioritarie, generano un rumoroso e illusorio consenso.

Indiscutibile lo sforzo fatto per tenere insieme l’obiettivo del calo del debito pubblico e la necessità di porre un argine agli insostenibili costi delle bollette energetiche per famiglie e imprese – i due terzi dei 35 miliardi complessivi – ma restano, al momento, deluse molte delle aspettative di chi nel nostro Paese crea lavoro, a partire dall’insoddisfacente taglio del cuneo fiscale, molto lontano da quel 4% minimo richiesto dal nostro Sistema per dare subito una boccata di ossigeno ai lavoratori.

Per noi resta, inoltre, basilare sciogliere il nodo dell’istruzione per porre rimedio a quel 39% di giovani Neet che, secondo Eurostat, al Sud ancora non studia e non lavora. Per farlo, non c’è altra via che una seria politica di sviluppo industriale che guardi al futuro e ai giovani, creando qui, nel Mezzogiorno, occasioni di lavoro e crescita. Il momento è di quelli che non tornano più: il PNRR destina al Sud 82 miliardi di euro che non possiamo sprecare.

Come sottolineato anche dalla Svimez, cruciale diventa correre sulle misure di rilancio degli investimenti pubblici e privati, ragionando in un’ottica integrata e coordinata tra la politica di coesione, comunitaria e nazionale, per non perdere l’occasione di incidere su infrastrutture materiali e immateriali, così come sulla qualità di servizi pubblici, ancora carenti al Sud sia per le famiglie, sia per le imprese.

Il tempo stringe ma fino al 31 dicembre si può ancora evitare l’esercizio provvisorio, migliorare la manovra economica e, più di tutto, augurarci di recuperare il senso di unità del Paese, nuovamente smarrito. Solo allora potremmo davvero sperare in un buon 2023 per la nostra Italia, per il nostro Sud.