Anche il realizzo controllato diventa a rischio abuso

Se gli utili della controllata non sono investiti in attività produttive caratterizzate da un impiego attivo ed efficace delle risorse derivanti dalla distribuzione dei dividendi scatta la censura 

L’art. 177, comma 2, TUIR, applicabile anche ai soggetti privati non imprenditori, dispone che le azioni o quote ricevute a seguito di conferimenti in società, mediante i quali la società conferitaria acquisisce il controllo di una società ai sensi dell’art. 2359, comma 1, n. 1), c.c. – ovvero incrementa, in virtù di un obbligo legale o di un vincolo statutario, la percentuale di controllo – sono valutate, ai fini della determinazione del reddito del conferente, in base alla corrispondente quota delle voci di patrimonio netto formato dalla società conferitaria per effetto del conferimento.

Tale regime rappresenta una deroga al criterio generale delineato dall’art. 9 TUIR (“valore normale”), ed è un’ipotesi specifica di determinazione del reddito del conferente, avente natura agevolativa applicabile in presenza dei presupposti di legge.

In sostanza, qualora l’aumento del patrimonio netto della conferitaria a seguito del conferimento equivalga al valore fiscalmente riconosciuto in capo al conferente della partecipazione conferita, l’operazione avviene in neutralità fiscale (c.d. “realizzo controllato”). Se tale condizione non viene rispettata, il conferimento segue le regole ordinarie dell’art. 9 citato e l’eventuale plusvalore in capo al conferente, pari al differenziale tra prezzo del conferimento e valore fiscale di carico della partecipazione è sottoposto a tassazione.

Questa normativa di favore è molto utilizzata dagli operatori, soprattutto nelle operazioni di riorganizzazione degli assetti proprietari di società e gruppi – familiari o a estesa compagine sociale – finalizzate sia a consolidare il potere di indirizzo e controllo evitando la dispersione dell’azionariato, sia a preparare eventuali passaggi generazionali successivi.

Ciò in quanto, come anticipato, essa consente di evitare una illogica (e significativa) tassazione di operazioni, che non hanno quale obiettivo manifestazioni di ricchezze, ma meri scopi riorganizzativi.

Su questo specifico tema nel corso degli ultimi anni si sono succeduti innumerevoli interventi di prassi dell’Agenzia delle Entrate (le famose “Risposte”), che – salvo alcuni casi oggettivamente distorcenti il fine della norma – non solo hanno sempre confermato la liceità fiscale del beneficio, ma ne hanno esteso l’applicabilità anche a una serie di varianti specifiche, che non ne modificavano lo scopo ultimo.

Più in particolare, tale solido orientamento interpretativo ha fatto ritenere assodato che, ai fini dell’applicazione della norma agevolativa, il ruolo e le attività della conferitaria anche post-conferimento non fossero elementi decisivi.
E invece ecco la Risposta n. 215 del 26 aprile 2022, in cui, del tutto inaspettatamente, l’Agenzia delle Entrate inserisce un’ulteriore (e assolutamente inesistente) condizione per beneficiare dell’agevolazione: l’attività della beneficiaria.

In breve, nel caso oggetto della risposta, una persona fisica intendeva conferire la maggioranza di una società operativa nel settore edile in un’altra società neo costituita (la conferitaria), che avrebbe operato anche nel settore del commercio di opere d’arte e le cui risorse finanziarie sarebbero state fornite proprio dalla società conferita, attraverso la distribuzione di dividendi.
L’Agenzia ha dato parere positivo, ma subordinatamente alla circostanza che la società conferitaria svolgesse nel futuro una effettiva attività imprenditoriale, caratterizzata da un impiego attivo ed efficace delle risorse derivanti dalla distribuzione dei dividendi.

In pratica, secondo l’Agenzia, se la conferitaria nel futuro non esercitasse un’effettiva attività imprenditoriale ma si limitasse solo a una gestione passiva degli asset patrimoniali, essa potrebbe essere riqualificata come società contenitore e quindi di mero godimento.
In tale evenienza, potrebbe evidenziarsi una natura prettamente fiscale della riorganizzazione, rappresentata dalla più leggera tassazione dei dividendi erogati dalla società operativa conferita (26% per la persona fisica – 1,2% per la conferitaria) suscettibile di censura antielusiva.

Questa posizione non è condivisibile. Innanzitutto perché, si ripete, il precetto normativo (art.177 comma 2 TUIR) non prevede tra le condizioni per la neutralità fiscale, la vitalità economica della conferitaria.
Poi, dimentica l’Agenzia che la finalità del conferimento in oggetto, è proprio quella di creare delle conferitarie – holding, cui affidare la gestione delle (sole) partecipazioni conferite, per cui ipotizzarne l’elusività è un ossimoro vero e proprio.

Infatti, andando – solo per ipotesi – verso questa astrusa impostazione, l’Agenzia dovrebbe anche spiegare che senso avrebbe allora il comma 2 bis del medesimo articolo 177, in cui addirittura viene consentito il conferimento di quote di minoranza in altre società (le cc.dd. “Holding unipersonali”), la cui vitalità economica in senso proprio sarebbe ancora più affievolita.
Inoltre, l’Agenzia dovrebbe ricordare che, il possesso di partecipazioni da parte delle holding è ritenuto esercizio di attività economica e peraltro soggetto alla normativa sulle società di comodo, ben più penalizzante rispetto al prelievo sui dividendi nel caso di possesso diretto da parte di persone.

Infine, è il caso di precisare che il passaggio della partecipazione in una holding passiva non determina alcun vantaggio fiscale, poiché i dividendi subirebbero una doppia tassazione, la prima dell’1,2% a seguito del passaggio da una società all’altra e la seconda del 26% quando gli utili vengono distribuiti alla persona fisica.
Questa impostazione, che guarda a ciò che fa la beneficiaria dell’apporto, è stata – a fatica – ritenuta accettabile solo nei casi di scissioni di rami “senza azienda” aventi ad oggetto solo denaro e similari ed è evidente che scissione e conferimento da persona fisica sono fattispecie del tutto differenti.

Questo tentativo di estenderla con una certa semplicità a operazioni quali appunto il conferimento in neutralità indotta in cui l’obiettivo della creazione di una holding è il presupposto stesso della norma istitutiva (art.177 comma 2 e 2bis TUIR), è quindi del tutto privo di senso.
A valle di queste considerazioni, viene solo da pensare che l’unico motivo che possa giustificare una risposta così sorprendentemente superficiale sia stato il caso specifico, legato al commercio di opere d’arte, che, per sua natura ma impropriamente, fa temere gestioni parapersonali di tali attività.

Ove ciò fosse, sarebbe stato apprezzabile che l’Agenzia, per evitare fraintendimenti, avesse almeno precisato nella stessa risposta che le partecipazioni conferite in una holding non erano e non sono mai da considerarsi asset da gestione passiva, suscettibili di generare società conferitarie di mero godimento.
C’è sempre tempo per rimediare.