Tra il 1948 e il 1950 lo scrittore eversivo compone Junkie, un romanzo di estrema potenza dove, nel raccontare il suo viaggio nella droga, dona al mondo la sua scrittura e la sua capacità descrittiva di profondissimo livello analitico e lacerante verità
Eccolo William Burroughs (nella foto a destra – nato a St. Louis nel Missouri il 5 febbraio 1914 e morto a Lawrence il 2 agosto 1997) immediatamente “eversivo”. Già all’età di 8 anni riceve la sua prima pistola. E sempre nel quadro di una movimentata adolescenza comincia a scrivere. Addirittura Autobiografia di un lupo volle intitolare il suo scritto giovanile preannunciando una “personalizzazione” del suo bagliore letterario che sempre lo accompagnerà. Del 1929 è la sua prima pubblicazione Personal Magnetism. Il suo percorso di formazione poliforme si orizzonta prima in New Mexico e poi Harvard lo laurea in Letteratura inglese con una tesi in Antropologia nel 1936 e immediate sono due le sue passioni: la scrittura e la droga. Ma anche la sfida “vis a vis” con la società lo anima subito.
Si parla addirittura di un internamento coatto nel 1939 nel manicomio di Bellevue, perché William, da buon antropologo che è dentro le cose, si tagliò la falange del mignolo sinistro e nel mostrare la
propria scelta radicale al suo analista, questi – incurante dell’atto da studioso – ben pensò di farlo internare. Il 1942 è un anno importante perché il nostro comincia a lavorare a Chicago come disinfestatore. Ma i tardi anni Quaranta sono anche la New York della Beat Generation, città nella quale tornerà ben presto dopo aver distrutto e al contempo nutrito il suo immaginario tremens di una miriade d’insetti.
La New York che lo aspetta è quella di Allan Ginsberg, Jack Kerouac, Gregory Corso, Peter Orlovsky, Lucien Carr, David Kammerer e centinaia di altri artisti e losers.
Certo il rapporto con la scena della Beat Generation fu fondamentale e duraturo, ma la sua non fu mai un’adesione totale al movimento. Sarà spesso un passo indietro rispetto a qualsiasi soglia movimentista o di gruppo. Lui resterà sempre uno straordinario anarchico e battitore libero. A parte le circumnavigazioni movimentiste e la sopravvivenza (rapinatore, pusher, poliziotto privato, barista, operaio, giornalista) anche l’amore ha una sua decisiva componente con ben due matrimoni. Uno velocissimo e di pura copertura con Ilse Kappler e un altro sodale e complice con Joan Vollmer.
Joan sarà sua musa e vittima.
Un uxoricidio, nella sua permanenza messicana, a sfondo tossico mai ben chiarito che sarà feroce trauma per tutta la vita del nostro. In quegli anni è anche il tempo del suo primo vero romanzo. E tutto
inizia con una scimmia sulla schiena (modo gergale per indicare la dipendenza dalla droga, in particolare l’eroina)! Tra il 1948 e il 1950 Burroughs scrive Junkie (La scimmia sulla schiena). Un romanzo di estrema potenza dove, nel raccontare il suo viaggio nella droga, dona al mondo la sua capacità descrittiva di profondissimo livello analitico e lacerante verità. Con questo straordinario romanzo l’ordigno Burroughs esplode. Dove “sarcasmo e sadismo, incubi e angosce, ritratti impietosi e esperienze spietate” (a parlare è una grande Fernanda Pivano) sono già il segno di un esordio che è storia della letteratura. La sua scrittura nel tempo avrà radicali punti di variazione e innovazione, certo.
Ma con Junkie il terremoto letterario ha preso avvio. Un terremoto che continuerà – tra l’onirico e l’analitico – con tutti gli altri suoi romanzi che realizzerà nel suo continuo viaggiare tra Tangeri, Parigi, Londra, Berlino. Realizzando, nel tempo, una letteratura estrema e piena di “interferenze” politiche e sociali, sogni e visioni, angosce e prospettive di futuro. Magica fonte d’ispirazione per musicisti del calibro di Laurie Anderson, Beatles, Iggy Pop, i Soft Machine, David Bowie e i Nirvana.