VIESTI E LE RAGIONI DEL NO ALL’AUTONOMIA DIFFERENZIATA

Per Gianfranco Viesti, docente di Economia applicata nella Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Bari sarebbe «opportuno prevedere la possibilità di un referendum confermativo da parte dell’intero corpo elettorale»

Professore, è tornata in agenda l’autonomia differenziata da lei definita «una grande questione politica, che riguarda tutti gli italiani» e che, in particolare, pone il Sud a nuovi rischi di marginalizzazione. Partiamo dalla forma: quali sono i nodi procedurali del ddl Calderoli?

La materia è talmente importante che deve essere necessariamente da sottoporre ad analisi approfondita da parte del Parlamento, unica sede che dovrebbe avere il potere di concedere o meno nuove competenze alle Regioni. Sarebbe anche opportuno prevedere la possibilità di un referendum confermativo da parte dell’intero corpo elettorale.

Parlamento che, però, è messo ai margini nell’attuale disegno di legge.

Sì, nell’attuale ddl Calderoli il ruolo del Parlamento è decorativo, può formulare soltanto un atto di indirizzo del quale il governo può non tenere conto e poi deve formulare l’approvazione finale a scatola chiusa, con un inevitabile effetto di coesione della maggioranza politica.

Estromesso anche dal processo che deve definire i Lep (Livelli essenziali delle prestazioni) per tutti i cittadini italiani, ma la determinazione non doveva essere un primo passo per sanare gli attuali squilibri regionali? Come mai ancora non sono stati definiti?

Non li abbiamo non da ora, ma da 22 anni perché la politica nazionale non ha svolto il suo compito e gli interessi dei cittadini delle aree più deboli non sono stati tenuti sufficientemente in considerazione.

Definire i Lep è un compito primario del Parlamento perché significa decidere di quali diritti sociali e civili deve godere ogni cittadino italiano e perché – dato che si tratta di raggiungerli – vanno stanziate le relative risorse a favore dei territori nei quali la realtà è molto peggiore dello standard che si vuole raggiungere.

Nessun limite di competenze da delegare non è di per sé un limite?

È una scelta politica cui sono chiamati Governo e Parlamento. La Costituzione offre alle Regioni la possibilità di chiedere ma pone su Governo e Parlamento l’onere di decidere se è nell’interesse nazionale, in un determinato periodo storico, è opportuno o meno concedere alcune competenze. Si tratta quindi non di un aspetto giuridico ma politico di primaria importanza.

Quanto potrebbe rivelarsi inefficace, se non dannoso, che scelte strategiche per l’economia nazionale, come quelle nel campo dell’energia e delle infrastrutture, vengano decentralizzate? E quelle relative a sanità e istruzione?

Assolutamente sì, in tutti i casi non è opportuno e per motivi diversi. Per infrastrutture ed energia dobbiamo puntare sempre più su politiche europee o quanto meno nazionali, e quindi mi sembra controproducente spezzettare le scelte su base territoriale.

Per istruzione e salute è un aspetto prettamente politico, i due grandi sistemi nazionali dell’istruzione e Ssn sono le architravi della cittadinanza italiana ed è a mio avviso profondamente sbagliato dare, nel primo caso, un potere concorrente alle Regioni e, nel secondo, un potere esclusivo alle regioni.

Nel report della Fondazione GIMBE emerge chiaro il rischio di una doppia fuga da Sud a Nord: non solo per farsi curare ma, per chi lavora in sanità, anche la strada per ottenere migliori condizioni lavorative. Un pericolo concretizzabile secondo lei?

Penso di sì, il Ssn si deve basare sull’assunto che tutti i cittadini hanno diritto a prestazioni che sono anche ben individuate perché si chiamano Livelli essenziali di assistenza (Lea, ndr).
Il punto sta nello stanziare le risorse necessarie e nel controllare l’operato delle Regioni affinché siano effettivamente garantiti su base territoriale.

Mettere in atto, quindi, dei meccanismi che creano ulteriori squilibri al sistema credo vada in direzione opposta e sbagliata.

In prospettiva cosa crede accadrà?

Potrebbe accadere di tutto. Ce l’hanno insegnato le vicende del 2019. È molto importante che la società civile e i cittadini, ma anche le associazioni di rappresentanza, facciamo sentire continuamente la propria voce per impedire un esito – a mio avviso – molto negativo per l’intero Paese.