ROSSI DORIA: «PARI DIRITTI E OPPORTUNITÀ IN MATERIA D’ISTRUZIONE»

Per il presidente dell’ Impresa Sociale Con i Bambini: «L’Italia è complessa e il tema delle perequazioni è decisivo per la tenuta complessiva della Nazione, molto di più di quello del regionalismo differenziato»

Il Consiglio dei ministri ha di recente approvato il disegno di legge sull’autonomia differenziata che, entro fine anno, dovrebbe avere piena attuazione. Anche la scuola potrebbe rientrare nelle competenze da decentralizzare. Crede sarà così? Quali sono gli aspetti da non trascurare?

Non so se così sarà. Dipenderà dal consenso o meno di comuni organizzati entro l’ANCI, regioni, Parlamento e pubblica opinione. Vi è un grande dibattito democratico in corso. Vedremo. In generale, l’esperienza della storia repubblicana insegna che altro è un testo presentato in Consiglio dei Ministri e altro è la sua definitiva approvazione e i contenuti che la connotano. Il testo iniziale mostra una spinta a regionalizzare l’istruzione pubblica fortemente – anche nei contenuti educativi e negli indirizzi culturali, il che, tuttavia, potrebbe smentire l’art. 1 della Costituzione, che garantisce l’unità della nazione e uguali diritti ai cittadini ovunque essi vivono. Inoltre non tiene conto dei divari come oggi si presentano e tende a “congelare” la situazione così com’è senza fin qui aver elaborato chiare procedure atte a garantire i livelli minimi di prestazione e le necessarie perequazioni sulla base dei divari presenti, favorendo, cioè, chi parte con meno per consentire, progressivamente, il superamento dei divari, come prescrive il comma 2 dell’art. 3 della nostra Costituzione. Insomma vi è il tema dell’equità delle risorse di fronte a situazioni diverse. Dare cose uguali tra disuguali non è equità. Poi, decentralizzare è una cosa e attribuire alle regioni gli indirizzi generali in tema di istruzione pubblica ne è un’altra. Peraltro, decentralizzare molte funzioni è già possibile, si pensi alla formazione professionale che è materia esclusiva propria delle regioni ben prima di questo testo o l’autonomia funzionale che le scuole già hanno o la possibilità per le regioni di esprimere contenuti ulteriori rispetto alle norme nazionali. Insomma: in Italia non siamo di fronte a un impianto accentratore che ha bisogno di decentramento. Perciò, direi che, in quanto a decentramento, la prima cosa da non trascurare è l’attuazione delle autonomie che già esistono. La seconda e più importante cosa da non trascurare è la garanzia, per tutti i bambini e ragazzi d’Italia, di avere pari diritti e opportunità in materia d’istruzione. Oggi l’Italia presenta forti differenze territoriali in termini di accesso ai percorsi di istruzione, a partire dai primi anni di vita di bambine e bambini. Lungo tutto il percorso di studi, la situazione penalizzata del Mezzogiorno è spesso l’elemento ricorrente anche se, inoltre – attenzione! – vi sono penalizzazioni anche entro le stesse regioni, comprese quelle del Nord, che riguardano per esempio piccoli centri nel confronto con grandi città, molte aree interne rispetto alle aree metropolitane, le periferie urbane nel confronto con le aree più protette delle città e questo è ovunque e non solo nel Sud.

L’Italia è complessa e il tema delle perequazioni è decisivo per la tenuta complessiva della nazione. Ma ritornando al confronto Nord/Sud, ci tengo a partire da alcuni dei dati che l’Impresa sociale Con i bambini ha tenuto a documentare insieme a Openpolis. Sono divari che dovrebbero preoccupare ogni forza politica in Parlamento. L’offerta per la prima infanzia espressa in posti nido e in servizi per l’età tra 0 e 2 anni vede oggi, per ogni 100 residenti, la media italiana che esprime 26,9 posti ma – attenzione! – solo le regioni meridionali sono sotto la media con Campania a 10,4, Calabria a 10,9, Sicilia a 12,4, Puglia a 18,9, Basilicata a 20,5, Molise a 22,7 e Abbruzzo a 23,9. La domanda cruciale è: può l’offerta pubblica non garantire una uguale o almeno comparabile buona partenza all’inizio della vita per tutti (come invitano a fare le Nazioni Unite e ogni studio internazionale) e che consente alle donne di poter lavorare e al reddito famigliare di crescere? Vi sono forti divari sul tempo pieno sia tra grandi comuni (60% delle classi a tempo pieno) e piccoli comuni (15% del totale delle classi a tempo pieno), sia tra regioni, non solo tra Nord e Sud con Molise, Campania e Puglia sotto al 20% di bambini della scuola primaria con il tempo pieno, mentre la media nazionale è quasi il 40%, con il Veneto al 32,5%, l’Emilia Romagna al 48,6%, la Lombardia al 53,4 e il Piemonte al 51,7%. La domanda fondamentale è: può un bambino nato in un piccolo comune avere in media un quarto delle possibilità di accesso al tempo pieno rispetto al coetaneo che vive in città più grandi e può un bambino del Veneto tra 6 e 10 anni avere, in media, meno ore di scuola di uno dell’Emilia o del Piemonte che, a loro volta, hanno più del doppio dei coetanei di Campania o Puglia? Il 12,7%, in media, di giovani italiani sono usciti prima del diploma o di una qualifica dal sistema educativo, ma nel Mezzogiorno la quota media raggiunge il 16,6%. La domanda cruciale è: può rimanere uno scarto così ampio nei tassi di fallimento formativo senza curare una via d’uscita concordata a livello nazionale? Cosa non trascurare? Bisogna non trascurare più queste domande cruciali.

Se l’istruzione rientrasse nel disegno dell’autonomia differenziata, si acuirebbe anche la fuga degli insegnanti migliori verso il Nord del Paese?

La risposta è molto difficile da dare perché il “patern” delle cause che hanno spinto gli insegnanti verso il Nord nella fase di attuazione delle legge detta “buona scuola” è davvero complesso.

Questa migrazione è stata dovuta, infatti, a più con-cause che si combinano tra loro secondo traiettorie complesse.
Atteso che vi è stata una spinta alle sicurezze derivate dalla stabilizzazione del ruolo docente che la legge prevedeva, vi è stato un mix:

fattori demografici che hanno visto una maggiore tenuta del numero di nascite e perciò di iscrizioni e dunque di classi in varie aree del Nord (non in tutte),

maggior numero di cattedre derivate da maggiore offerta di tempo pieno o/e da migliori procedure di assegnazione delle cattedre di sostegno grazie al migliore funzionamento di Asl o anche alla maggiore consapevolezza dei genitori coinvolti,

divario generale tra popolazione del Nord (2/3 circa del totale) e del Sud (1/3 del totale) in relazione alla diversa situazione del mercato del lavoro che vede il Nord molto più dinamico in termini di offerte di impiego (le più diverse) rispetto alla povera offerta di lavoro al Sud, entro un paesaggio che vede crescere la povertà multi-dimensionale.

Voglio sperare nella buona riuscita del PNRR e degli altri investimenti in istruzione: se vi saranno perequazioni atte a superare, anche in parte, i divari sopra descritti o anche misure (v. gli ingenti fondi di cui dico più avanti) – che prevedano occupazione in campo educativo – vi potrebbe essere un avvio di inversione di tendenza. Altrimenti, purtroppo, è prevedibile una stabilizzazione o un aumento del flusso di migrazione interna da Sud a Nord anche in campo educativo, in triste coerenza con quanto già da anni avviene in quasi ogni settore.

Durante la pandemia tutti erano concordi sulla necessità di rimettere l’istruzione al centro. Poi…cosa è successo?

Come presidente di Con i Bambini a me piace stare ai fatti e documentarli e devo dire che l’istruzione ha un peso. Infatti, in questo momento vi sono, per l’istruzione, finanziamenti nel bilancio di ministeri, regioni e comuni, diciamo consuetudinari, che derivano dalla legge di stabilità. A questi vanno aggiunti finanziamenti derivati dalla programmazione dell’Unione Europea 2021-2027, con una innovativa attenzione ai minori in povertà, con il lancio del programma UE chiamato Child Garantee.

E poi vanno aggiunti gli ulteriori investimenti del PNRR la cui entità, finalità e le cui problematiche abbiamo voluto documentare, nel dicembre 2022, con una estesa documentazione che ci racconta, in dettaglio, misura per misura, dove e come cadranno i fondi che, complessivamente – attenzione! – sono ben 19,44 miliardi di euro destinati dal PNRR al potenziamento dei servizi di istruzione, cui si aggiungono altri interventi trasversali alle diverse missioni. Sono una quantità di soldi per l’istruzione che può essere paragonata al piano Marshall dopo la guerra o agli investimenti del primo centro-sinistra negli anni sessanta dello scorso secolo. Dunque, gli investimenti previsti in istruzione ci sono. E sono un segno di cambiamento di prospettiva rispetto al quadro ereditato dal periodo 2009-2015 che ha conosciuto il disinvestimento più grande di tutti i paesi OECD e il più massiccio nella storia dell’Italia unita, dal 1861! Vi sono ora risorse ingenti. Il vero tema – come Con i Bambini segnala in modo documentato nel suo dossier curato insieme a Openpolis – è che l’Italia riesca a evitare sprechi e a usarli bene, sostenendo le comunità educanti che operano nei territori, che sono capaci di riunire comuni, scuole, terzo settore, a partire dalle aree più fragili, secondo modelli operativi flessibili e fondati su criteri di prossimità con i bambini e ragazzi e anche con i genitori secondo modalità di efficacia/efficienza e, dunque, prevedendo la rigorosa valutazione dei risultati.

Proprio con l’emergenza sanitaria sono cresciute anche dispersione scolastica e povertà educativa, specie al Sud. Quali azioni sarebbero necessarie per contrastarle fin dalla prima infanzia?

Ritorno sulle comunità educanti. Perché, a partire dai 420 partenariati finanziati dal Fondo di contrasto della povertà educativa e da Con i Bambini (ma non solo), sono migliaia le buone pratiche in Italia (e molto diffusamente nel Mezzogiorno) che dimostrano, appunto, che si può contrastare dispersione scolastica e povertà educativa se si creano alleanze tra enti locali, scuole e organizzazione del terzo settore e del volontariato. Il compito che abbiamo è quello di rendere stabili queste spinte positive e queste esperienze.

Oggi si tratta di far dialogare, in modo operativo, i finanziamenti messi in campo da Italia e Europa, a partire dal PNRR e le esperienze che, sul campo, hanno funzionato.

È possibile. Il mondo del terzo settore è attivato su questa prospettiva. E vi è anche attenzione, da parte di molti decisori, per questa prospettiva.

Dal suo osservatorio, i “ragazzi del Sud” hanno ancora quella che l’antropologo indiano Arjun Appadurai chiama “capacità di aspirare”? E a scuola c’è chi gliela insegna?

Penso di sì. E mi spiego, a partire da una lunga personale esperienza sul campo, con i ragazzi. La mia esperienza mi dice, però, che la capacità di aspirare è sia parte di una co-costruzione di prospettive positive lì dove si vive, sia emigrazione come una forma di resilienza di chi è spinto a reagire andando via, in risposta a una situazione di difficoltà, esclusione, mancanza di prospettiva lì dove vive. Spesso, per i ragazzi del Sud, si traduce con l’emigrazione.

Si pensi – faccio un solo esempio – ai 43mila laureati napoletani che se ne sono andati via dalla loro città negli ultimi 10 anni, nel Nord, in Europa, nel mondo. È un’enormità! È anche – certamente – “capacità di aspirare a…” Ma segnala anche uno squilibrio dolorosissimo e una perdita di risorse. Perché non sono venuti altrettanti ragazzi a Napoli dal resto del mondo. E perché queste migliaia di ragazzi di Napoli non sono partiti per scelta libera ma per poter far valere competenze che non possono fare valere nel loro territorio per la pauperizzazione del territorio, che non è solo responsabilità nazionale ma anche delle cattive classi dirigenti nel Sud.

Viceversa se si creano occasioni resilienti lì dove si vive – penso, ad esempio, al quartiere Sanità di Napoli ma anche di tante altre esperienze positive nel Sud – allora si apre la via allo sviluppo locale.

Tante scuole, anche al Sud, partecipano a quest’ultima prospettiva costruendo iniziative di attivazione civica, tessendo alleanze territoriali con imprese, terzo settore, comuni, ecc.

Altre scuole sono più chiuse in sé.

Poi – va detto – esistono anche altre realtà…ed è quando, purtroppo, tanti e tanti (troppi!) ragazzi stanno chiusi in casa o intrappolati da povertà ed esclusione multidimensionale e non riescono a esprimere le proprie aspirazioni, non partono e non partecipano neanche a co-costruire speranze nei propri quartieri.

Le politiche pubbliche devono potere agire per favorire aspirazioni, come proprio Appadurai ci ricorda. Non riescono oggi a farlo quanto si dovrebbe e potrebbe fare.