A trent’anni dalla sua istituzione, sono ancora molte le riflessioni da fare sull’efficacia reale di questa misura di prevenzione amministrativa
In questa rubrica, già in passato, si è affrontato il nodo dell’interdittiva antimafia, misura di prevenzione amministrativa che con il tempo è divenuta decisamente gravosa per chi la subisce.
Argomento certo spinoso, che deve tener conto, da un lato, di comprensibili esigenze di sicurezza e ordine pubblico, e allo stesso tempo, della tutela della persona, della presuzione d’innocenza, delle possibili indebite dilatazioni di una misura che, seppure amministrativa e non penale, ha effetti devastanti.
Si torna sul tema per una verifica, a distanza di poco più di un anno, degli effetti pratici delle riforme introdotte dal D.L 152/2021, che ha modificato il Codice Antimafia, per quanto qui interessa agli artt. 92 e 94. In particolare la riforma ha introdotto, quali novità più interessanti, la necessaria comunicazione dell’avvio del procedimento (art. 92 co. 2 bis) e, in questo ambito preliminare, la possibilità da parte del Prefetto di graduare (art. 94 bis) il proprio intervento. Quando si ritiene che l’agevolazione a certi ambienti criminali sia stata occasionale, il Prefetto può disporre il c.d. controllo giudiziario d’ufficio e, cioè, una sorta di preventivo tutoraggio dell’azienda, oltre che il controllo dei flussi finanziari dell’azienda o dell’imprenditore oggetto di attenzione. Nei casi in cui l’influenza di ambienti criminali non potrà dirsi occasionale, il Prefetto può emettere l’interdittiva antimafia.
Intanto si tratta di modifiche più volte invocate nelle aule giudiziarie e, quindi, parte del merito di queste nuove forme di garanzia va ascritto alla classe forense. L’esperienza pratica di questi primi mesi porta a dire che queste novità hanno inciso poco o nulla. In ordine alla prima delle modifiche introdotte e del necessario contraddittorio preventivo che è imposto al Prefetto, in realtà la c.d. comunicazione dell’avvio del procedimento si traduce in fugace contraddittorio con un funzionario, spesso inutile, a seguito del quale gli uffici prefettizi chiedono ulteriori indagini alla Polizia Giudiziaria, che non smentisce quanto da essa affermato in precedenza. Insomma , una “carta in più”.
Il controllo giudiziario preventivo disposto dal Prefetto, ulteriore riforma introdotta nel 2021 quale forma di graduazione della misura accompagnato anche dal possibile controllo dei flussi finanziari, non è quasi mai applicato. Eppure i casi in cui questo strumento potrebbe essere utilizzato sono la maggior parte, proprio perché l’indizio o le motivazioni spesso rientrerebbero nella c.d. occasionalità del pericolo di infiltrazione. Per quanto è dato sapere, si contano pochi casi, meno delle dita di una mano. E invece la novità e la ratio era proprio quella, come detto, di graduare le ipotesi di intervento del Prefetto, senza trattare tutti allo stesso modo. Incide naturalmente il senso ampio, indefinito, del concetto di occasionalità dell’infiltrazione, che può essere allargato o ristretto a discrezione del Prefetto.
Si aggiunga anche che gli esiti del controllo giudiziario c.d. volontario, cioè richiesto dall’interessato al Tribunale penale di Prevenzione dopo aver subito l’interdittiva ex art. 34 bis del Codice, anche se sono positivi nel senso di escludere infiltrazioni, stanno incidendo pochissimo per cui nonostante lo Stato accerti dopo 18 mesi una “normalità” di gestione, questa non è considerata vincolante dai Giudici Amministrativi, e può essere solo un elemento di valutazione del Prefetto in sede di riesame della misura, senza alcun vincolo. Insomma, come detto, le auspicate riforme -preventivo contraddittorio e graduazione della misura- si stanno rivelando sostanzialmente inutili. Ma lo stigma sociale, la perdita di reputazione, il vero e proprio dramma che vivono molte famiglie quasi sempre coinvolte per parentele, per labili indizi come dice l’esperienza pratica, è tale che una ulteriore riflessione è necessaria.
Si crede siano maturi i tempi per riportare la questione alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, dopo che la famosa sentenza De Tommaso del 2017, che pur censurava il sistema italiano delle misure di prevenzione, non è stata recepita riguardo all’interdittiva antimafia prefettizia, ritenendosi che le censure della Corte Europea riguardassero solo le misure sulla libertà personale e non quelle attinenti al patrimonio, così intendendo l’interdittiva antimafia prefettizia (Cons. di Stato. III 6.3.2018 n. 1408 ed altre successive). Si tratta di posizioni del Consiglio di Stato che dovrebbero essere rimeditate perché la misura dell’interdittiva antimafia del Prefetto non incide solo sul patrimonio, ma anche sulla libertà della famiglia e della persona, sull’onore e sulla reputazione, che sono certamente diritti previsti e tutelati Convenzione dei Diritti dell’Uomo (vedasi art. 8).
Ci pare, poi, che si debba insistere sulla durata della misura interdittiva, che proprio per questa incertezza è definita provocatoriamente un “ergastolo amministrativo”.
Il Codice Antimafia prevede che essa debba durare 12 mesi (art. 86, 2° co.) ma tale norma è letta come misura temporale quando vi è una liberatoria antimafia, ma non per le interdittive subìte, secondo un ragionamento che non si condivide.
Il tema va affrontato con decisione anche perché la Corte Costituzionale (dec. 57/2020) quando ha salvato il meccanismo della interdittiva come oggi concepito, ha chiarito che ciò era dovuto anche alla temporaneità della misura di dodici mesi, che però non è considerata perentoria, evidentemente, quando la si subisce.
Anche senza modificare l’attuale norma, si deve insistere affinchè, nei casi ove l’interdittiva non è obbligata secondo la legge ma discrezionale, decorso il tempo previsto dalla legge (12 mesi) senza evidenze nuove che possano portare ad esempio ad una misura di prevenzione penale, l’impresa può tornare sul mercato.
Vi è un dato oggettivo di durata che non si può continuare ad ignorare. Nonostante le riforme, l’interdittiva antimafia quindi si pone ancora sul crinale della possibile violazione di principi costituzionali che è bene poter discutere con coraggio, tenendo conto, al di là dei buoni propositi, che questo istituto in quasi trent’anni di attività delle prefetture ha prodotto e sta producendo pochi risultati pratici sul fronte della lotta alla criminalità organizzata, ma molte, troppe, imprese perse, fallite, prima di poter dimostrare la loro estraneità.