La giurisprudenza è tuttora altalenante sull’obbligo delle amministrazioni locali di motivare le scelte tariffarie per il pagamento del tributo utile a coprire i costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati
La Tari è un’entrata obbligatoria per tutti i Comuni del territorio nazionale utile a coprire i costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento, svolto in regime di privativa comunale.
Orbene, l’art. 1, ai commi da 641 a 668, della legge di stabilità per il 2014 (Legge n. 147/2013), si occupa della disciplina della nuova tassa a carico dell’utilizzatore dell’immobile. La Tari è una articolazione, insieme alla Tasi, della componente servizi della nuova imposta unica comunale (cosiddetta Iuc). Nell’individuarne presupposto, obbligati, riduzioni ed esclusioni, il Legislatore si rifà al regime della Tares, contestualmente abrogata. Tares che, a sua volta, ha lo stesso presupposto già previsto dal D.Lgs. n. 507/1993 in materia di TARSU (art. 62) e dal D.Lgs. n. 22/1997 in materia di TIA (art. 49, c. 3). Ciò premesso così il c. 641: «La Tari è dovuta da chiunque possieda o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani».
Ecco che, con il passaggio dalla Tarsu/Tia alla Tares, e dal 2014 alla Tari, il tributo comunale sui rifiuti cambia nome ma non cambia nella sostanza, rendendo la pressione fiscale per le imprese del settore ricettivo sempre più gravosa.
Per quanto concerne la commisurazione in base a tariffa, anche questo nuovo tributo è determinato in base a tariffa.
In realtà le similitudini della Tari con i precedenti prelievi non finiscono qui. Ebbene la Tari si paga sulle superfici calpestabili degli immobili, anche a destinazione ordinaria, fino a quando i Comuni non avranno la possibilità di fare riferimento alle superfici catastali. I contribuenti, però, non sono tenuti a ripresentare le dichiarazioni se hanno già assolto all’obbligo per Tarsu, Tia o Tares. Lo prevede l’art. 1, c. 645, 646 e 647, della L. 147/2013.
In sede di prima applicazione la nuova tassa rifiuti si paga sulla superficie calpestabile. Dunque, come per la Tares, viene rinviata sine die l’applicazione dell’80% della superficie catastale per gli immobili a destinazione ordinaria (classificati nelle categorie A, B e C), come parametro per la determinazione del tributo. Pertanto viene consentito ai Comuni di fare ricorso alle superfici già denunciate per Tarsu, Tia e Tares, utilizzando per il calcolo la superficie calpestabile anche per gli immobili a destinazione ordinaria.
Oltretutto, per quel che concerne la determinazione delle tariffe, il Comune tiene conto dei criteri determinati con il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 27/04/1999, n. 158. Pertanto, alla luce di quanto sopra esposto relativamente alle molteplici similitudini della Tari con quelle in materia di Tarsu, soprattutto per quel che concerne la determinazione delle tariffe, l’ente impositore deve considerare la effettiva destinazione dei locali sottoposti a tributo e, quindi, distinguere tra i locali equiparabili alle utenze domestiche e quelli, invece, non assimilabili a queste ultime.
Orbene deve a tal punto essere richiamato l’orientamento della giurisprudenza di merito secondo cui agli alberghi va applicata la tariffa relativa alle civili abitazioni per quanto concerne i locali destinati a stanze atte a ricevere gli ospiti e, invece, quella relativa a locali adibiti ad uso diverso da abitazione per le restanti parti dell’albergo (es: locali destinati alla ristorazione).
All’indicato orientamento si sono adeguati i Giudici della CTP Lecce con le sentenze n. 616/09/08 e n. 617/09/08, pronunciate in data 18.11.2008 e depositate il 9.12.08, e, da ultimo, con la sentenza n. 227/02/13, depositata il 9.07.2013 con cui hanno affermato che «nel caso delle attività alberghiere appaiono sussistere aree aventi una diversa potenzialità produttiva di rifiuti: maggiore per le aree destinate a ristorazione, cucine e altro, minore per le aree destinate alle unità abitative». E in tal senso, le recentissime sentenze della CTR Foggia 825-6-7-8-9 del 7 aprile 2016 e 837 e 838 del 7 aprile 2016.
Oltretutto, occorre precisare che per i coefficienti potenziali di produzione il succitato DPR n. 158/1999 si basa esclusivamente su formule e sigle secondo espressioni numeriche incomprensibili, inidonee a motivare correttamente i risultati esposti e, soprattutto, a consentire al contribuente la verifica dell’esattezza e proprietà della somma pretesa.
Infatti, la Corte di Cassazione ha più volte chiarito che l’elemento della copertura totale del costo del servizio non può essere confuso con quello della determinazione dell’onere individuale da porre a carico degli utenti. Oltretutto, la legge si limita a raccomandare la copertura integrale del costo complessivo del servizio, tacendo del tutto sui limiti per la determinazione delle tariffe individuali, in palese violazione del principio di legalità sancito dall’art. 23 Cost.. Appunto per questo, la Ctp Lecce con la recente sentenza n. 1891 del 1°giugno 2015 ha annullato una cartella di pagamento disapplicando il succitato regolamento con motivazioni valide anche per la TARI.
Alla luce di quanto detto va posta però attenzione alla giurisprudenza che è tuttora altalenante sull’obbligo delle amministrazioni locali di motivare le scelte tariffarie per il pagamento della Tari.
Infatti, da una parte per il Tar Latina sent. 486 del 21.07.2016, le tariffe Tari non richiedono la motivazione se i Comuni applicano i coefficienti fissati dal regolamento statale per la determinazione della quota fissa e di quella variabile del tributo. Ciò perchè, la delibera che fissa le tariffe Tari non richiede «una particolare o specifica motivazione dato che si tratta di un atto generale». Nello stesso senso la Ctr Palermo, sez. XXV, sent. n. 400 del 2.02.2016, laddove le delibere comunali sono atti generali che non vanno necessariamente motivati e qualora non contengano una motivazione dettagliata dei costi del servizio di smaltimento rifiuti che giustifichi le tariffe adottate, non sono in contrasto con l’articolo 7 dello Statuto dei diritti del contribuente (legge 212/2000) e non sono sindacabili per eccesso di potere.
A favore del contribuente con orientamento contrario la decisione del Consiglio di stato sent. 5616/2010, che ha stabilito che il Comune deve motivare la delibera che prevede un aumento delle tariffe Tarsu. E non può invocare genericamente la necessità di assicurare la tendenziale copertura totale della spesa, senza avere dati certi sullo scostamento tra entrate e costo del servizio.
Nello stesso senso la sentenza 504/2015 secondo cui il Comune deve indicare nella delibera le ragioni che hanno comportato l’aumento delle tariffe della tassa rifiuti, con l’obiettivo di coprire integralmente i costi del servizio, ma è insindacabile la scelta di privilegiare le utenze domestiche rispetto alle attività produttive. Ancora, il Tar Emilia Romagna sent. 1056/2015, secondo cui la delibera che fissa le tariffe della tassa rifiuti deve essere motivata e deve indicare i costi di esercizio dell’anno precedente, le stime dell’anno di competenza, il gettito della tassa e le ragioni dell’eventuale aumento dei costi e delle tariffe.