L’evento del ritorno

Nicola Maria MartinoNegli spazi della GABA.MC di Macerata, una retrospettiva dedicata al maestro Nicola Maria Martino, fino al 4 dicembre 2016

Come figure che sgorgano da un’infanzia mai dimenticata, giochi d’avvicinamento ad un mondo incantato e spumose delicatezze d’un erotismo primario che porta il desiderio a desiderare le cose desiderate, le immagini che costellano il percorso intellettuale di Nicola Maria Martino invitano a riflettere sull’infinito intrattenimento della pittura e su un sillabario espressivo che alleggerisce, ammorbidisce, allontana le brutture del mondo, fino a cancellare la «sbiadita realtà senza fantasia degli adulti».

 

Cieli limpidi arati da piccoli e innocui aeroplani o da nostalgici aquiloni, barchette affilate che percorrono mari e disegnano leggendarie avventure, biciclette filiformi che girano tra i borghi assolati di provincia, casette e stelle filanti che sembrano provenire dal paese delle meraviglie: e poi atolli, prati, alberi, fiori, segni, graffi, tracce di gioia e dolore che scolorano e si perdono su superfici screpolate dalla luce, rivestite dall’immaginazione degli anni, dei mesi, dei giorni, delle ore.

Il ventaglio iconografico offerto da Martino è fatto di questi soggetti privilegiati che accorciano gli argini del tempo per meditare su un mondo mitico ed eroico evocato con emotivo silenzio lirico, con un sentimento che mostra qualcosa di mai visto e di segretamente familiare. Martino ricorda di ricordare, di ritornare al paese dei balocchi, di guardare con dolcezza gli incanti di Lilliput e di afferrare la crudezza del reale mediante stratagemmi poetici che contemplano il silenzio delle cose.Opera Martino olio su tela 80x80 2015 2

 

Dopo un primo cammino comportamentale che porta l’artista a contestare con manovre polemiche e dissacranti l’establishment culturale e i lobbysmi di turno – a questo periodo risalgono performance e azioni come L’artista firma i muri (1969), Uscire dalla porta della critica (1970), Ombra d’artista (1971), Artista Italiano in vendita (1972), Ginnastica ad arte (1973), L’artista ha in grande considerazione la sua presenza (1973), L’artista non siede mai in panchina (1973) e Fuori commercio (1974) – Nicola Maria Martino sente l’esigenza di tornare ai perimetri chiari del codice pittorico per verificare nuovamente la forza del colore sulla superficie.

Nel 1974, con la straordinaria serie dei reggiseni e successivamente con Colore Dolore (1976) è infatti tra i primi ad avvertire e praticare un cambio di rotta che lo riporta dunque agli ambienti della pittura (e in questo l’artista può vantare dei meriti pionieristici), di un’atmosfera cromatica croccante e squillante, di una pastosità poetica che si reinventa mediante spericolate virate nel terreno fertile dell’immaginazione.

 

«Pittore nativo», così lo ha definito Cesare Vivaldi, Martino si innesta così, «con coscienza e autorità, in quell’aria di cultura pittorica romana […]» che da Cy Twombly a Gastone Novelli «arriva, traverso certo lavoro di Baruchello, di Carla Accardi, dell’ultima Fioroni sino a Simona Weller e ad altri giovani», a stabilire non solo il primato del significante rispetto al significato, ma anche a detronizzare le freddezze concettuali e ad avviare una pulizia che salta il fosso del comportamentale per riappropriarsi di un dispositivo linguistico su cui esercitare scorrimenti pindarici, verificare la vertigine del ritorno, superare l’aderenza con il magma delle cose.

 

Il suo è un armamentario magico che prende per la coda la figurazione con lo scopo di svolgere un progetto brillante dove la frontalità bizantina sposa l’aspetto tragico del manierismo e il bagliore scenografico barocco (non mancano sulla tavolozza dell’artista «Braque per la sua posizione etica, Matisse per la grande felicità nel colore, de Chirico per la visionarietà» e la sovratemporalità) per dar luogo a stupefacenti impennate pittoriche che trasformano il terreno pittorico in ambiente del pensiero, in camera semiotica tesa ad allineare i morfemi e i cromemi alle regole grammaticali della fantasia.

Opera Nicola Maria MartinoDel resto per Martino «il gesto della pittura ha valore solo in quanto rende possibile la realizzazione materiale dell’ipotesi di partenza», avverte Filiberto Menna nel 1973: «qualsiasi intervento casuale, non previsto, deve essere accuratamente scartato nella misura in cui potrebbe introdurre un fattore di disturbo lungo il processo che […] porta l’azione mentale ad identificarsi con lo spazio della tela» e a permutare la stessa pittura in cosa mentale, in poesia muta.

 

Con una intimità che restituisce le esigue tracce di un’antica serena maraviglia le contrade estetiche battute da Martino mostrano, negli anni, e soprattutto nell’ultimo decennio, un inesauribile dialogo con le cose di sempre, con i luoghi che l’artista richiama alla memoria, con un piccolo mondo antico dove possono apparire i fantasmi dei principi e delle nascite, dove i flutti del mare si fanno eterni, dove i colori mutano in contrappunti di uno spartito che all’originale privilegia l’originario, dove le figure umane si dissolvono, dove coesistono implicitamente l’è stato, l’è e il sarà.

 

Martino sente l’esigenza archeologica di scavare ancóra nei dedali del tempo, di portare alla luce, appunto, le presenze originarie della mente per farle esplodere nell’evidenza della percezione.

La sua pittura (una pittura colta ha notato Italo Mussa in tempi non sospetti) pare dissolvere il presente in quanto mancanza della consapevolezza dell’esistenza del presente per sovrastoricizzare e deterritorializzare le occasioni, per attuare una potente Wandlung che frulla sulla tela gli attimi fuggenti dell’evidenza finita in prima persona, le screpolature autobiografiche (e ciò che sussiste in conformità ad una φαντασία λογική), le circostanze di una differente ripetizione, il senso del vuoto da riempire a mezza voce, nel mormorio delle cose.