Serve l’impegno di tutti, attori pubblici e privati, per costruire un futuro migliore
Il 2023 sta per finire e appare quasi rituale interrogarsi sul futuro che ci aspetta e che dovremo contribuire a costruire. Gli analisti vedono ancora buio sulle prospettive italiane. Una delle cause principali è senz’altro l’instabilità geopolitica internazionale che, nel nostro Paese, si interseca alle disuguaglianze economico-sociali via via più profonde e all’inverno demografico che “imbianca” l’Italia.
Viviamo dunque tempi che probabilmente resteranno difficili ancora a lungo. Il come ci stiamo preparando ad affrontarli non è, pertanto, secondario. A tal proposito, fa riflettere l’istantanea degli italiani emersa dal recente Rapporto del Censis che ci fotografa come “sonnambuli”, in preda a una veglia che non produce sogni di riscatto, ma solo pigro smarrimento. La società italiana – si legge nel Rapporto del Centro Studi che interpreta i più significativi fenomeni socio-economici del nostro Paese – trascina i piedi, invecchiata, indebolita e sempre più divisa al suo interno. Nel 2050, avremo perso complessivamente 4,5 milioni di residenti, come se Roma e Milano d’un tratto, o quasi, fossero cancellate.
Sempre tra poco meno di trent’anni si stima che il nostro Paese avrà circa 8 milioni di persone in età lavorativa in meno, con un impatto devastante sul sistema produttivo e sulla nostra capacità di generare valore. Sono previsioni grigie che, purtroppo, appaiono tutt’altro che isolate. Fanno il paio infatti con i dati, anch’essi deludenti, dell’ultimo Rapporto Svimez che certifica come, ancora una volta, il Mezzogiorno paghi a caro prezzo questi anni complicati.
Dal 2002 al 2021 hanno lasciato il Sud oltre 2,5 milioni di persone, in prevalenza verso il Centro-Nord (81%). L’emigrazione giovanile resta una delle questioni più urgenti rispetto alla quale siamo da tempo ciechi: nello stesso lasso temporale il Mezzogiorno ha subìto un deflusso netto di 808mila under 35, di cui 263mila laureati.
Un intero pezzo di futuro possibile scomparso che pesa, neanche a dirlo, sul divario di crescita tra i territori. La Svimez prevede, infatti, che il Pil nel 2024 cresca dello 0,7% a livello nazionale (+0,7 al Centro-Nord e +0,6 a Sud) e nel 2025 dell’1,2% (+1,3 al Centro Nord e +0.9% a Sud). Al Sud nel 2022, sono 2,5 milioni le persone che vivono in famiglie in povertà assoluta: 250.000 in più rispetto al 2020 (-170.000 al Centro-Nord).
Non va meglio in termini di divario di genere. Al Sud 7 donne su 10 non hanno un lavoro. Le regioni meridionali infatti presentano il tasso più basso di occupazione femminile in confronto all’Europa (media UE 72,5), con numeri pesanti per la nostra regione (31%), ma anche per Puglia (32%) e Sicilia (31%).
Resta la speranza, che ci auguriamo non si riveli una chimera, di risvegliare il Sud e il Paese tutto attuando il PNRR, quel poderoso Piano da 191,5 miliardi, 527 obiettivi, 6 missioni, 192mila progetti che si pone tre priorità trasversali – risanare i divari di genere, generazionali, territoriali – e due traguardi: la transizione verde e quella digitale. Attualmente dei 164mila i progetti presentati, di cui 62mila al Sud, solo un terzo ha ricevuto la necessaria validazione.
Mancare quello che è, innanzitutto, un imponente obiettivo di civiltà sarebbe imperdonabile. Questo è il quadro dello scenario attuale e atteso ma non dobbiamo scoraggiarci. Siamo da sempre abituati a muoverci e ad agire nelle difficoltà.
Il Mezzogiorno si caratterizza anche per tantissime realtà imprenditoriali che continuano a crescere e a svilupparsi. Come testimoniato dai dati ISTAT sull’export che vedono anche nel 2023 ottimi risultati per la nostra regione. Ed è su queste basi e con un rinnovato impegno di tutti gli attori, pubblici e privati, che si potrà costruire un futuro migliore per il nostro Sud.