Il romanzo, vincitore dell’edizione 2016 del Premio Elsa Morante, è ambientato in un vallone isolato delle Alpi. Vi si aggira un vecchio scontroso e smemorato, Adelmo Farandola, che la solitudine ha reso allucinato: accanto a lui, un cane petulante e chiacchierone che gli fa da spalla comica, qualche altro animale, un giovane guardiacaccia che si preoccupa per lui, poco altro.
La vita di Adelmo scorrerebbe scandita dai cambiamenti stagionali, tra estati passate a isolarsi nel bivacco sperduto e inverni di buio e deliri nella baita ricoperta da metri di neve, se un giorno di primavera, nel corso del disgelo, Adelmo non vedesse spuntare un piede umano dal fronte di una delle tante valanghe che si abbattono sulla vallata.
Dal libro
Adelmo Farandola ogni tanto si ricorda dei cavi che gli hanno ronzato sulla testa durante tutta l’infanzia.
Le case del paese in cui era nato si stringevano proprio sotto il passaggio dell’elettrodotto, tra un pilone e l’altro, e quei cavi altissimi ronzavano giorno e notte.
Quando il vento cessava, quando lo scampanio delle vacche si placava nel sonno, il ronzio aumentava fino ad assorbire i pensieri. Allora gli uomini credevano di diventare matti, urlavano per non sentire in testa il ronzio, picchiavano le donne, picchiavano le bestie, si scolavano bottiglie di vino per diventare sordi, partivano per i campi e non tornavano più.
Tutti matti diventiamo, diceva la sua povera mamma.
E anche il papà lo diceva, prima di prendere un bastone e rincorrere il figlio come se la colpa di quel ronzio fosse di quest’ultimo.