Per lo scrittore e manager Francesco Delzio per avviare il ricambio nei ruoli di vertice è necessario che ognuno di noi si assuma le sue responsabilità “dirigenziali”, piccole o grandi che siano, imponendo nella propria realtà selezioni efficienti, senza più compromessi al ribasso
Il benessere economico di un Paese dipende in larga misura dalla qualità degli uomini della sua filiera istituzionale, politica, amministrativa, economica, tanto più validi nel guidare una comunità quanto più capaci di agganciare ciò che crea futuro, nell’interesse generale e non privato. È d’accordo?
É un’equazione profondamente vera. Così vera che l’Italia è considerata ormai a livello internazionale un caso “di scuola”, in negativo, sotto questo profilo. Il gap di competitività e di crescita che il nostro Paese ha accumulato negli ultimi 20 anni rispetto agli altri Paesi avanzati, infatti, è stato causato soprattutto da tre ragioni strettamente legate alla qualità degli uomini. La prima è il deficit di visione, innovazione e competenze della classe dirigente, non solo quella politica ma anche quella imprenditoriale e burocratica. La seconda è l’uso sistematico, in Italia, nella scelta dei ruoli di responsabilità del criterio della “selezione inversa”: è un criterio fondato sulla scelta di persone fedeli ma incapaci, in grado di eseguire senza insidiare, e quindi sull’annullamento del criterio naturale del merito. La terza ragione è l’insufficienza e l’inefficacia dei canali di collegamento tra sistema formativo e impresa: due mondi che comunicano ancora troppo poco, lasciando intatta la separazione anacronistica e pericolosa tra cultura teorica e cultura del management e delle professioni. Prima elimineremo questi tre macigni, prima riusciremo a tornare in vetta alle classifiche dello sviluppo occidentale.
Raffaele Cantone di recente ha dichiarato che «esiste una questione morale che investe la classe dirigente del Paese». Anche secondo lei più che di un problema politico si tratta di una falla di sistema?
Sono d’accordo. La questione morale in Italia è, oggi più che mai, una questione di sistema. Ma poiché non credo che gli italiani siano “etnicamente peggiori” dei francesi, dei tedeschi o degli americani, dobbiamo interrogarci seriamente sulla debolezza nel nostro Paese delle regole e dei presidi anti-corruzione. Mentre sui presidi – proprio con l’istituzione dell’ANAC presieduta da Cantoneabbiamo fatto passi in avanti importanti negli ultimi anni, le regole evidentemente non funzionano. É questa la falla da colmare. Perché le regole attuali non prevengono, non disincentivano, non sanzionano adeguatamente comportamenti delinquenziali, in particolare nella gestione della cosa pubblica e nel rapporto pubblico-privato.
Selezione: la trasparenza è più alta nel privato o nel pubblico?
É sicuramente più alta nel privato, dove il mercato “impone” comportamenti comprensibili e tracciabili da parte degli stakeholder. Nel pubblico la trasparenza delle selezioni è cresciuta negli ultimi anni, ma non abbastanza. Eppure una semplice mossa potrebbe avere effetti “rivoluzionari”: estendere il criterio del concorso pubblico alla gran parte delle selezioni, applicandolo sempre, tranne che nei casi in cui è tecnicamente impossibile. Ma ciò priverebbe i partiti di una leva molto importante di potere: chi avrà il coraggio di farlo?
Il testo base di legge sui partiti può essere un nuovo punto di inizio per migliorare la selezione del personale del ceto politico?
Una legge del genere potrebbe migliorare la trasparenza esterna dei partiti e la loro democrazia interna, ma non la selezione del personale politico che rimane – ahinoi – una questione culturale e sconta oggi in Italia gli effetti negativi del dissolvimento di qualsiasi scuola di formazione. Estremizzando, potremmo dire che nessuno è in grado di rispondere a questa semplice domanda: chi “pensa” il pensiero politico, oggi in Italia?
E una vera legge sul conflitto di interessi?
Sarebbe molto utile nel nostro Paese. Non concentrandosi, però, soltanto su una categoria di conflitti d’interesse – quella sul rapporto tra istituzioni, politica e proprietà dei media – ma sulle numerose categorie di conflitti che la nostra storia recente ha svelato.
Il Censis ha di recente certificato che le porte sociali di accesso sono tutte sbarrate. Il mancato ricambio incide, e quanto, sulla qualità della classe dirigente?
Condivido molto le conclusioni del Rapporto Censis. Il nostro ascensore sociale è bloccato, ormai da molti anni, e da questa condizione deriva ogni giorno un enorme e straziante spreco di talenti e di competenze nel nostro Paese. La situazione è paradossale.
Gran parte della classe dirigente italiana considera oggi questa situazione molto negativa, a tal punto da “dissociarsi” e da considerarsi non responsabile per lo scarso funzionamento dei meccanismi di selezione. É un gioco degli specchi che non promette nulla di buono per il futuro prossimo.
Cosa occorre fare per riavviare il ricambio?
É necessario che ognuno di noi si assuma le sue responsabilità “dirigenziali”, piccole o grandi che siano, imponendo nella propria realtà selezioni basate solo su criteri di merito.
Senza più accettare compromessi al ribasso.
E accettando, invece, l’idea che mettersi a fianco una persona di talento può rendere il lavoro quotidiano forse più faticoso, ma sicuramente più produttivo e stimolante. Dobbiamo diventare tutti, ogni giorno, “portatori sani” del virus del merito.
Una soluzione prêt à porter per rigenerare la classe dirigente, innovandone i meccanismi di formazione, potrebbe essere ascoltare la società civile, o no?
Ascoltare la società e contaminarsi con essa è sicuramente una mossa utile per rigenerare la classe dirigente. Purché la contaminazione non avvenga al contrario, trasferendo i vizi della classe dirigente alla società. Non possiamo proprio permettercelo.