AUTONOMIA DIFFERENZIATA, I RISCHI PER IL PAESE

Antonio Ferraioli, presidente Confindustria Salerno

Preoccupa la possibile confusione legislativa tra “Centro e Periferia”. Non meno rilevanti sembrano essere poi i probabili effetti di “concorrenza sleale” fra le Regioni e l’impatto dell’autonomia sull’elevato debito pubblico italiano

 

L’aumento degli investimenti pubblici legati al PNRR, nel 2023, ha avuto il positivo effetto di generare una crescita più intensa per il Mezzogiorno, in netta controtendenza rispetto alle performance messe a segno dal Nord del Paese. A rilevarlo, le recenti stime della Svimez che – elaborando i dati Istat – certificano come il Pil dello scorso anno sia aumentato dell’1,3% nel Mezzogiorno e dell’1% nel Nord-ovest, a fronte di andamenti più contenuti nel Nord-est (+0,8%) e, soprattutto, nel Centro (+0,5%). Per il dinamismo mostrato, la maglia rosa va al comparto delle costruzioni, grazie a una crescita del valore aggiunto del 4,6% per il Sud. Stesso positivo trend per l’occupazione che, al Sud, aumenta del 2,5%, con un incremento superiore a quello fatto registrare dal Nord-est +2%, dal Nord-ovest +1,5% e dal Centro +1,2%.

Dati alla mano, poteva essere questo allora il momento giusto per spingere sul rilancio del Sud, soffiando forte sulla sua ritrovata e manifesta capacità di reazione dopo decenni di diffusa agonia che ne hanno corroso la fibra demografica, economica e sociale. Nei fatti, invece, si è varato un provvedimento che va in direzione contraria approvando, dopo una lunga maratona notturna alla Camera il 19 giugno scorso, il disegno di legge sulla «attuazione dell’autonomia differenziata ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione» e già promulgato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

A nulla sono valsi i pareri contrari delle massime istituzioni indipendenti o le riserve espresse dalle rappresentanze economiche e sociali: con l’autonomia differenziata le competenze in ambiti fondamentali di identità e sviluppo come istruzione, energia, grandi infrastrutture o trasporti – solo per citarne alcuni dei 23 totali – saranno frammentate. A ciascuna Regione pertanto il suo centro, con buona pace di quanti fin qui hanno sperato che potessero risolversi i divari tra cittadini e territori in un Paese unico e unito.

Ma, al di là dei timori e della propaganda di una parte e dell’altra, cosa è legittimo aspettarsi? Restano innanzitutto da chiarire molti aspetti, tra cui l’ammontare delle risorse e, soprattutto, i “livelli essenziali delle prestazioni” (Lep) relativi a quelle materie riferibili a diritti civili e sociali da garantire con equità su tutto il territorio nazionale.

Alcuni nodi sono però ravvisabili fin da ora: tra questi, preoccupa la confusione legislativa tra “Centro e Periferia” legata all’autonomia differenziata. Non meno rilevanti, inoltre, sembrano essere i probabili effetti di “concorrenza sleale” fra le regioni, in materie come l’istruzione e la sanità ad esempio. Infine, turba non poco l’impatto dell’autonomia sull’elevato debito pubblico italiano e, di rimando, sul costo del credito e quindi ancora una volta sui bilanci delle imprese e sui redditi di lavoratori e famiglie.

Non era questa la rivoluzione normativa di cui si sentiva l’urgenza: la priorità ieri come oggi era ridurre le disuguaglianze fra le due anime del Paese, fermare il declino demografico e favorire lo sviluppo del Mezzogiorno che, oggi invece, rischia di accentuarsi.