Neri Marcorè nel suo “Zamora” racconta la storia di Walter Vismara, un trentenne che ama condurre una vita ordinata e senza sorprese: ragioniere nell’animo prima ancora che di professione, lavora come contabile in una fabbrichetta di Vigevano.
Da un giorno all’altro la fabbrica chiude e Vismara si ritrova suo malgrado catapultato in un’azienda avveniristica della vitale e operosa Milano, al servizio di un imprenditore moderno e brillante, il cavalier Tosetto.
Non sarebbe neanche così male se non fosse che costui ha il pallino del calcio, tanto da obbligare tutti i suoi dipendenti a sfide settimanali scapoli contro ammogliati.
Walter, che considera il calcio uno sport assolutamente demenziale, decide di dichiararsi portiere solo perché è l’unico ruolo che più o meno conosce e non sa che da quel momento, per non perdere l’impiego, sarà costretto a partecipare agli allenamenti settimanali, in vista della partita ufficiale del primo maggio.
Subisce così lo sfottò impietoso dei colleghi; tra questi, l’ingegner Gusperti lo ribattezza sarcasticamente “Zamora”, il fenomenale portiere spagnolo degli anni ‘30.
Non solo Gusperti lo umilia in campo e lo bullizza in azienda, ma tra lui e Ada, la segretaria della quale Walter finisce per innamorarsi, sembra esserci del tenero.
Sentendosi umiliato, tradito da una parte e deriso dall’altra, il ragioniere escogita un piano del tutto originale per vendicarsi, coinvolgendo un ex-atleta ormai caduto in disgrazia.
Nel calcio, così come del resto nella vita, bisogna imparare a buttarsi e, anche se perdi, ciò che conta davvero è sapersi rialzare e ripartire più forti e determinati di prima.