Competitività europea, la versione di Draghi

Nel Rapporto Draghi la bussola per scongiurare il declino e facilitare l’innovazione tecnologica nel nostro Continente: dall’incremento degli investimenti per circa il 5% del Pil complessivo, al raggiungimento degli obiettivi di digitalizzazione, decarbonizzazione e rafforzamento della capacità di difesa, oltre che dell’integrazione dei mercati

 

È da tempo ormai che l’Europa soffre di un deficit di innovazione e di una produttività debole che le rallentano il passo rispetto alle economie di Cina e Stati Uniti, tanto che ad oggi il rischio stagnazione per il nostro Continente appare non solo possibile ma elevato.

L’imperativo è cambiare radicalmente per sopravvivere, seguendo un percorso completamente nuovo. Una strada per intraprendere un cammino di crescita è tracciata nel Rapporto sul “Futuro della competitività europea”, presentato lo scorso settembre da Mario Draghi e realizzato su richiesta della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.

Nel Rapporto, Draghi sottolinea come la debole crescita della produttività europea sia oramai di ostacolo per conseguire obiettivi ambiziosi come l’inclusione sociale, sempre più difficile con le nostre società che invecchiano, o per mantenere un peso geopolitico rilevante a livello globale. Ed è su questa, pertanto, che innanzitutto bisogna lavorare. Per scongiurare il declino e facilitare l’innovazione tecnologica, in 170 proposte concrete, Draghi insiste nell’incrementare gli investimenti in Ue per circa il 5% del Pil complessivo, perseguendo gli obiettivi di digitalizzazione, decarbonizzazione e rafforzamento della capacità di difesa, oltre che l’integrazione dei mercati.

In cima alle priorità, per recuperare i ritardi di competitività, c’è infatti il completamento e il rafforzamento del mercato unico e, di rimando, l’abolizione di regole e vincoli nazionali, condizione necessaria per favorire la crescita di scala delle aziende, assicurare i finanziamenti e fare dell’Europa un vero attore globale veloce e coeso. Il monito è chiaro e forte: «nessuno si salva da solo». Serve più Europa, dunque. Ma un’Europa completamente nuova, che pensi e agisca come una vera e propria federazione in alcuni comparti specifici, con politiche armoniche in settori fondamentali – energia, difesa, tecnologie – preservando al contempo i suoi valori fondanti di pace, libertà e democrazia, proprie del nostro modello sociale in un ambiente concretamente sostenibile. Tre le aree preminenti in cui occorre avanzare: in ambito tecnologico, va colmato il divario d’innovazione con gli Stati Uniti e la Cina, soprattutto nelle tecnologie avanzate come l’AI; in tema di politiche industriali, indifferibile appare ormai l’adozione di un piano congiunto decarbonizzazione-competitività, con una revisione del Green Deal che veda un allungamento dei tempi in precedenza previsti con particolare riferimento al passaggio al motore elettrico entro il 2035.

Bisogna coniugare l’imprescindibile difesa dell’ambiente garantendo la competitività nello scenario globale di importanti settori della manifattura europea. Risulta necessario quindi innanzitutto la condivisione del programma per poi reperire le risorse che non potranno prescindere da un intervento a livello europeo.

Non c’è più tempo per narrazioni, isolazioniste ed euroscettiche, né per visioni e strategie di breve periodo. Il tempo di decidere è arrivato ed è ora. Prima che sia troppo tardi.