DECRETO SALVA CASA: sanatoria edilizia e modifica alla doppia conformità

Restano irrisolti diversi nodi, tra cui quello relativo alle difformità degli immobili vincolati o in zona vincolata

 

Tra le novità normative più rilevanti dell’ultimo anno, per cittadini e imprese, vi è senz’altro la Legge 105/2024 di conversione del Decreto Legge 69/2024, noto anche come decreto “Salva casa”, (sulla cattiva abitudine di titolare, a mo’ di pubblicità – a volte ingannevole – i provvedimenti legislativi, magari sarà il caso di tornare).

La legge ha introdotto, come è noto, significative modifiche al Testo unico dell’edilizia (DPR 380/2001). Tra queste, ha avuto una certa enfasi la modifica dell’art. 36 che ha semplificato le procedure di regolarizzazione degli immobili, introducendo l’art. 36 bis, (accertamento di conformità urbanistica a “regime”).

In precedenza la legge, come noto a molti, prevedeva per la sanatoria a regime che l’abuso fosse conforme al momento sia della commissione dello stesso, sia della domanda (c.d. doppia conformità).

La legge 105 cit. introduce invece la “monoconformità urbanistica”, con riguardo agli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire o dalla SCIA alternativa e agli interventi eseguiti in assenza o difformità dalla SCIA semplice.

In base a quanto previsto da tale nuova disposizione, per sanare gli interventi abusivi ritenuti dunque meno gravi, per i quali necessitava la c.d. “doppia conformità”, è sufficiente ora la sola conformità o alla disciplina edilizia vigente al momento della realizzazione dell’intervento, o a quella vigente al momento della presentazione dell’istanza. Anche se il testo di legge presenta qualche dubbio interpretativo, si vorrebbe così facilitare la soluzione di piccoli abusi, che ha riflessi, come è noto, anche sul mercato immobiliare.

Pare interessante, in questa rubrica, tra le tante affrontare tre questioni che si sono affacciate, e cioè l’effetto che tale norma produce sui processi in corso, l’estensione della stessa e un’analisi finale al testo di legge. Intanto, per rispondere alla prima questione, è di aiuto una recente sentenza della II sezione del Consiglio di Stato, la n. 7486 del 9 settembre 2024. All’attenzione del Giudice d’appello vi era un’ordinanza di demolizione che sanzionava un abuso edilizio. È stato allora chiarito che l’avvenuta presentazione dell’istanza di sanatoria ai sensi della legge 154 in commento non influisce sull’esito del giudizio in corso ad oggetto la “legittimità” dell’ordine di ripristino (in applicazione di un principio ormai consolidato in giurisprudenza secondo cui la presentazione di una richiesta di sanatoria non incide mai sulla legittimità del provvedimento) ma ha anche chiarito che la presentazione della (nuova) sanatoria sospende, comunque, l’efficacia fino alla pronuncia definitiva del Comune.

L’istanza di sanatoria ai sensi dell’art. 36-bis citato, favorevole al privato, potrà rendere legittimo l’intervento sulla base della nuova normativa. Viceversa, se sfavorevole, non potrà che riprendere efficacia il precedente provvedimento sanzionatorio. Ora, tale principio riveste sicuramente importanza sul piano pratico, nel senso che la sua applicazione vale, almeno, a paralizzare l’efficacia dei provvedimenti precedentemente adottati, laddove non siano stati già portati ad esecuzione.

E del resto, vi sono ora iniziative in tal senso da parte di tanti, talvolta strumentali e non proprio coerenti con le coordinate dell’art. 36 bis, ma tese a rallentare l’azione sanzionatoria. Si chiede dunque un sforzo di attenzione maggiore da parte degli Uffici.

Inoltre non appare risolto il tema delle (lievi) difformità degli immobili vincolati o in zona vincolata.

E infatti la L. 154/2024 ha modificato il T.U. Edilizia senza intervenire sul T.U. 42/2024 sul Paesaggio. Eppure moltissimi immobili con lievi difformità sono anche in zone vincolate, presenti in ogni parte del territorio nazionale. Sarebbe stato utile chiarire e allargare il perimetro della novella, e non a caso i primi scricchiolii della norma si avvertono proprio per questa parziale visione del Legislatore.

Bastava forse prevedere un percorso più rapido e specifico per questo tipo di sanatoria ove è coinvolta la Sovrintendenza. Un decreto salva (alcune) case, dunque. Sul terzo punto, bisogna fare un passo indietro di qualche anno, quando la giurisprudenza propose qualcosa di simile alla novità odierna. La c.d. sanatoria giurisprudenziale, non disciplinata (ancora) dal D.P.R. 380/01, venne introdotta in alcune sentenze del Consiglio di Stato (tra le tante Consiglio di Stato, sez. VI, 7 maggio 2009, n. 2835) ed era basata anch’essa sulla singola conformità delle opere illecite alla disciplina urbanistico-edilizia vigente al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria. Si era notato infatti, che l’art.13 l.85/47 c (poi art. 36 T.U. Edilizia) finiva con l’imporre la demolizione dell’edificio abusivo al tempo della sua costruzione, ma che più non lo era al momento della presentazione della domanda di sanatoria.

Ciò era contrario al principio di economicità, dal momento che si permetteva di demolire il manufatto, assentibile, e poi approvare la successiva costruzione di un’opera (magari) identica a quella già in precedenza, sia pure abusivamente realizzata.

Ma la giurisprudenza della Cassazione penale, e poi definitivamente la Corte Costituzionale con la prima sentenza 101/2013 (e poi da ultimo con la sentenza 42/2023 in relazione anche alle molteplici disposizioni regionali che avevano previsto tale opportunità, e dunque sui rapporti in tema di legislazione concorrente regionale e nazionale nella materia urbanistica) pur rimarcando il realismo di quella posizione, affermò che non vi poteva essere una siffatta forma di sanatoria senza copertura legislativa. Con la nuova legge e una espressa norma il passo in avanti si è fatto, ma rimane un effetto limitato alle mere difformità e non agli abusi più consistenti, che poi talvolta sono quelli di necessità.

È abbastanza paradossale infatti che si ordini al cittadino di abbattere tutto, e poi obbligando a chiedere sullo stesso lotto un nuovo titolo per realizzare la stessa consistenza. Insomma, forse si poteva fare di più, anche aumentando gli oneri di costruzione e di urbanizzazione necessari per sanare un abuso più consistente rispetto alla sola difformità o agli abusi più lievi. Ma credo che sia prevalsa la valutazione politica di non varare una forma di sanatoria più ampia, forse mal digerita dall’opinione pubblica. Molti problemi, così, rimangono però sul tappeto.