Rispettare non significa subire, essere educati non è un limite. Ma per rimettere in circolo queste ovvietà, serve ripartire dalle cose semplici. Dire buongiorno. Ascoltare prima di rispondere. Evitare di imporsi urlando. Non legittimare i personaggi che fanno della prepotenza il loro stile
Ci siamo giocati la gentilezza e neanche ce ne accorgiamo. Peggio: la deridiamo, la consideriamo un impiccio, un fastidio da eliminare in fretta per non fare la figura degli ingenui. Il modello vincente è un altro. Il bullo, lo spaccone, quello che insulta in modo inaccettabile e poi, se qualcuno osa indignarsi, viene difeso con un’alzata di spalle. Tanto sono ragazzi. Tanto è il loro stile. Tanto si tratta di scaramucce.
Non è una scaramuccia, è un metodo educativo. Perché chi ha in mano il microfono, un palco, un profilo social da milioni di follower, diventa inevitabilmente un maestro per chi non ha le difese per capire che la normalità è altro. E il messaggio che passa è chiaro: più urli, più fai il prepotente, più sei celebrato. Quelli che alzano la voce si trovano sempre una giustificazione. Quelli che picchiano parlano di errori di gioventù. Quelli che insultano vengono chiamati sinceri. Ma la verità è che il bullo non è mai sincero, è solo meschino. Nel frattempo la gentilezza si spegne. Lo si vede nelle piccole cose. Nella gente che non dice più grazie. Nelle persone che sbraitano contro un cameriere perché il caffè ha trenta secondi di ritardo. Negli automobilisti che si insultano per una precedenza. Nella sciatteria con cui si parla, come se la volgarità fosse sinonimo di autenticità. Come se il rispetto fosse una roba da perdenti.
Ci si accorge di quanto siamo caduti in basso quando chi usa toni civili viene etichettato come finto. È finta la cortesia, è finto il garbo, è finto chi cerca di dire una cosa senza mortificare l’altro. La verità è che, per tanti, essere veri significa solo essere maleducati.
Dovremmo ricominciare a premiare la gentilezza, invece di trattarla come una debolezza. Rispettare non significa subire, saper parlare senza insultare non è un difetto, essere educati non è un limite. Ma per rimettere in circolo queste ovvietà serve ripartire dalle cose semplici. Dire buongiorno. Ascoltare prima di rispondere. Evitare di imporsi urlando. Non legittimare i personaggi che fanno della prepotenza il loro stile.
E tutto questo viene normalizzato. I giornali parlano di scaramucce. Gli opinionisti liquidano gli episodi con il solito “che vuoi che sia”. Il pubblico ride, applaude, premia con i numeri chi si comporta peggio. Quasi fosse un merito. Quasi fosse un valore. Intanto chi crede ancora nella gentilezza, chi prova a mantenere un tono dignitoso, viene travolto dall’onda di questa mediocrità urlata. E non c’è modo di far capire a chi osserva da fuori che quello che sta guardando non è un gioco. È un virus. Si diffonde ovunque, senza controllo.
Non servono chissà quali rivoluzioni per invertire la rotta. Servirebbe soltanto il coraggio di smettere di giustificare l’ingiustificabile. Smettere di premiare i bulli con copertine e applausi. Ricordarsi che essere educati, avere rispetto, sapersi esprimere senza calpestare gli altri, non è una roba vecchia o da sfigati. È la base della civiltà. E la civiltà, se non la proteggiamo, scompare.