Il dibattito teorico attraverso le mostre 1980-2010 – Anni Novanta #7.
A modellare il paesaggio degli anni Novanta del XX secolo, una costellazione di mostre – legate dal filo riflessivo di un titolo cartografico, Punti cardinali dell’arte, più precisamente – rappresenta (accanto a Post-Human e Where? L’identité ailleurs que dans l’identification) un progetto teorico che, sulla via lattea dell’interdisciplinarità, mira a coniugare le forze più vitali del circuito internazionale dell’arte attraverso alcune parole d’ordine (multiculturalismo, transnazionalità e multimedialità) volte a costruire una mostra diffusa, «rivolta ad un pubblico che ricerca un contatto contraddittorio e complesso con l’opera d’arte, un confronto serrato sul piano delle relazioni multiple tra l’opera e l’orizzonte entro cui si colloca».
Si tratta della 45° Esposizione Internazionale di Venezia, una Biennale che, sotto la direzione di Achille Bonito Oliva, pone l’accento su una espansione geografica radicale, su una idea che trasforma il pulsante presente in disegno franco dell’arte, in volto plurale che mostra il progressivo sfibrarsi delle frontiere, dei confini, degli isolamenti. A sconfinare e deterritorializzare, insomma, gli orizzonti della creatività e della quotidianità. Fino a creare uno slittamento necessario (Slittamenti è, tra l’altro, il titolo suggestivo dato ad una sezione memorabile della manifestazione veneziana che slitta al 1993 per far coincidere la successiva edizione con il centenario della Biennale), un transito, un impulso dinamico di cultura e civiltà.
Sfondando dall’interno il sistema allestitivo delle precedenti esposizioni veneziane (elaborate secondo schemi chiusi, atolli, vicoli ciechi, aree circoscritte), Bonito Oliva crea una esplosione, una breccia, un programma relazionale mediante il quale alcuni padiglioni – abbandonato il modello strettamente nazionale dell’Expo di Parigi – presentano «nei loro spazi anche artisti di altri paesi, come riflesso di un aggiornamento del concetto di nazionalità, sottoposto a massicce migrazioni di popoli da un territorio a un altro».
Già ideatore e curatore di due indimenticabili esposizioni che hanno segnato il secondo Novecento – Vitalità de negativo nell’arte italiana. 1960/1970 (1970) e Contemporanea (1973) – e, assieme ad Harald Szeemann, di Aperto, Achille Bonito Oliva, il cui sguardo si pone all’ascolto del presente e delle presenze, dei dati e delle date attuali, sottopone lo spettatore ad un viaggio multietnico in cui il meticciaggio culturale ridisegna il mondo mediante gemellaggi, rapporti di partecipazione, dialoghi costruttivi, confermando i valori della coesistenza (non c’è esistenza senza coesistenza, ha avvertito Nancy), della differenza dei popoli e dei linguaggi.
Bonito Oliva aziona, in questo modo, un programma polifonico (unico nel suo genere) che, se da una parte smonta il sistema allestitivo delle precedenti esposizioni veneziane per ritrovare nell’arte («in un momento di frantumazione e di grandi tensioni sociali e politiche») il mezzo ideale dell’aggregazione, dall’altro pone al centro del dibattito internazionale la propria volontà «di superare l’autarchia e la settorialità di certa cultura che porta all’isolamento e all’impoverimento dell’espressione e della comunicazione» (Marucci-Novelli), recependo «in maniera sempre più diretta le problematiche legate al tema della globalizzazione e del post-colonialismo» (Cagol).