Dal punto di vista economico, la convenienza è legata al delicato equilibrio di un mix di fattori quali il prezzo rispetto al materiale vergine, il costo del conferimento in discarica, la presenza di un’industria del riciclo, l’elevata domanda di materiali con basse prestazioni e il contenimento dei costi di trasporto
«Il decreto terremoto approvato oggi ci soddisfa solo in parte. […] è mancato il coraggio di affrontare una delle quelle questioni più spinose che accomuna tutti i terremoti, lo smaltimento delle macerie […]. Siamo convinti che la soluzione migliore consiste oggi nel recupero differenziato e nel riutilizzo dei materiali per gli usi compatibili […] È questa una delle prime sfide da affrontare nella aree post-sisma e che invece inspiegabilmente non è stata considerata».
È con queste parole che, Rossella Muroni, presidente nazionale di Legambiente, commenta l’approvazione del terzo “Decreto terremoto”, convertito in Legge dello Stato 07/04/2017 n.45.
L’attenzione rivolta da Legambiente al riciclo di materiali inerti nell’edilizia è, negli ultimi anni, molto alta, come testimoniano l’istituzione, nel 2015, dell’ Osservatorio Recycle, realizzato per promuovere il riutilizzo di materiali di scarto nei processi di costruzione, e le dichiarazioni rivolte nel settembre 2016 al Commissario Straordinario Vasco Errani per invitare ad una ricostruzione post-sismica corretta, sostenibile ed efficace: «Riciclo delle macerie, sicurezza degli edifici, controlli qualità del patrimonio edilizio: queste le nostre proposte per una corretta ricostruzione».
L’intuizione di Legambiente, si dimostra pienamente in linea con la direttiva della Comunità europea 2008/98/CE (che prevede il raggiungimento, entro il 2020, di un obiettivo pari al 70% del riciclo dei rifiuti da costruzione e demolizione) con la COM (2014)398), il collegato ambientale (Legge 221/2015), le disposizioni del nuovo Codice Appalti (D.lgs.50/2016) e consentirebbe all’Italia di aprire un nuovo panorama nel settore delle costruzioni, mettendo in atto quella che si configura come una vera e propria rivoluzione culturale, sociale ed economica, improntata alla sostenibilità ambientale.
Nonostante i materiali da riciclo e il recupero di aggregati risultino assolutamente competitivi sul piano tecnico ed economico, nel caso della ricostruzione post sismica, la proposta di Legambiente si va ad inserire nel più complesso campo della rimozione delle macerie, da sempre considerato un settore ostico per la frequente infiltrazione della criminalità organizzata e per la difficoltà legata all’individuazione di luoghi per il conferimento dei detriti.
In questo senso, emblematico è quanto accaduto nel caso del sisma dell’Aquila del 2009, a seguito del quale, a causa dell’ingente quantità di materiale da rimuovere e dell’urgenza con cui è stato necessario portare avanti le operazioni, la rimozione dei detriti ha presentato contorni estremamente complessi dal punto di vista normativo, sfociando per la prima volta, in un serio conflitto relativo alla tracciabilità dei rifiuti imposta dalla direttiva 2008/98/CE: l’estrema eterogeneità del materiale imponeva, come unica soluzione, lo smaltimento in discarica. Si è avvertita dunque l’urgenza di intervenire, andando a delineare un panorama legislativo che consentisse di fronteggiare in modo corretto l’emergenza.
Con il D.lgs. 39 del 28/04/09, convertito in L. 77 del 24/06/09, disciplinando lo stoccaggio, il trasporto e lo smaltimento del materiale proveniente dalle demolizioni e classificando le macerie con l’identificativo generico 20.03.99 (solitamente attribuito ai rifiuti solidi Urbani, Rsu) sino al loro arrivo nei siti di deposito temporaneo, i rifiuti, una volta arrivati a destinazione, vengono separati, individuando i materiali riutilizzabili (porte, finestre, ringhiere ecc.), quelli riciclabili (inerti), i materiali non inerti (legno, plastica, ferro) e quelli inutilizzabili perché inquinanti.
I materiali riciclabili vengono poi sottoposti ad opportune analisi fisico-chimiche e, se ritenuti idonei, trattati con impianti di frantumazione per consentire il futuro riutilizzo.
I possibili utilizzi degli inerti
Scegliere materiali edili di scarto, consentendo loro un “secondo ciclo vitale”, risulta essere vantaggioso da numerosi punti di vista, primo fra tutti, nel caso della ricostruzione post sismica, il forte legame con l’identità e la memoria del luogo ferito dal terremoto.
Dal punto di vista economico, la convenienza è, invece, legata al delicato equilibrio di un mix di fattori quali il prezzo rispetto al materiale vergine, il costo del conferimento in discarica dei materiali, la presenza di un’industria del riciclo (e quindi di un’offerta di inerti riciclati di qualità), l’incentivazione da parte degli enti dell’utilizzo di inerti riciclati nei lavori pubblici, l’elevata domanda di materiali con basse prestazioni e il contenimento dei costi di trasporto. Molteplici sono i casi in cui l’applicazione di questo tipo di soluzioni ha consentito di ottenere un risultato efficace, principalmente nell’ambito del recupero ambientale, della realizzazione delle opere in terra dell’ingegneria civile, di sottofondi stradali, ferroviari, aeroportuali, di piazzali civili e industriali, ma anche nella realizzazione di elementi alveolari per la pavimentazione da esterni, arredi urbani (Progetto RE-start Aquila), e calcestruzzi non strutturali.
I casi studio
Una delle infrastrutture di maggior rilievo realizzate con il recupero di rifiuti di lavorazioni industriali e di materiali è il Passante di Mestre. Per la sua costruzione è stato utilizzato Ecoconcrete, ottenendo un risparmio di materiale naturale del 71%, una riduzione delle deformazioni del materiale sottoposto a sollecitazioni veicolari variabile dal 10 al 37%, un aumento della vita utile della strada pari a 88% e un sensibile abbattimento dei costi complessivi dell’opera: i viaggi di camion evitati per il trasporto sono circa 40.000, con un conseguente risparmio economico oltre che in termini di produzione di C02 (circa 11400 tonnellate complessive).
In Campania, significativa è l’esperienza scaturita dalla redazione del Manuale delle tecniche di Intervento per il recupero dell’architettura e del paesaggio in Irpinia, ad opera dell’architetto Angelo Verderosa e del suo gruppo di lavoro, recepito, dal 2005, come riferimento per la stesura dei Capitolati speciali d’Appalto e dei Disciplinari tecnici di intervento dei successivi lavori di Recupero e Restauro che hanno interessato il territorio. Il testo introduce l’obbligo di utilizzare un piccolo tritovagliatore da cantiere, in modo da consentire il riciclo in loco dei detriti, che vengono frantumati e ridotti ad elementi di granulometria variabile da pochi mm (per la realizzazione di intonaci e massetti a coccio pesto) a 1-2 cm (per vespai e riempimenti).
Il noleggio o l’acquisto del macchinario comportano una spesa minima, a fronte di un grande vantaggio ecologico ed economico, riconosciuto principalmente nell’assenza di costi di trasporto e di conferimento a discarica dei rifiuti edili.
Nonostante gli evidenti vantaggi di carattere ambientale, economico e sociale di una scelta di ricostruzione di questo tipo, attualmente, secondo i dati di Legambiente, l’Italia riutilizza solo il 9% dei materiali da C&D, a fronte di un’Europa che viaggia in una direzione diametralmente opposta (in Olanda e Irlanda viene riutilizzato il 97-98%, per lavori pubblici o privati, in Danimarca, Germania, Belgio, Austria e Regno Unito il 90%, in Francia il 63%, la Finlandia il 55%, la Svezia il 50%, la Spagna il 38%). Viene dunque spontaneo domandarsi se non sia necessaria un’immediata e urgente inversione di tendenza, che ci conduca verso una cultura della costruzione consapevole, che possa consentire un “secondo tempo” alle città distrutte e un “nuovo tempo” per la nostra società.