Si verifica annullamento o invalidità quando e se la decisione non trova alcuna giustificazione nell’interesse della società, poiché il voto è ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un vantaggio personale antitetico a quello collettivo
Il Tribunale di Roma, Sezione specializzata in materia di impresa, con la sentenza n. 6452/2017 si è occupata del tema dell’abuso o eccesso di potere nelle deliberazioni assembleari delle società di capitali, individuando un’ipotesi di violazione dei principi di correttezza e buona fede contrattuale nei casi in cui il socio persegua un interesse personale antitetico rispetto a quello sociale, circostanza che si verifica anche quando i soci di maggioranza pongano in essere una condotta fraudolenta diretta a ledere i diritti dei soci di minoranza.
Nel caso di specie, i soci di minoranza di una s.r.l. avevano convenuto in giudizio la società per sentir dichiarare la nullità e/o l’illegittimità della deliberazione di azzeramento del capitale sociale della convenuta e di contestuale aumento del medesimo fino all’importo di euro 500.000, in quanto asseritamente adottata con abuso di potere da parte del socio di maggioranza, come evidenziato dalle seguenti circostanze:
1. L’aumento del capitale era stato deliberato nonostante la condizione di inoperatività della società;
2. Non erano stati forniti ai soci di minoranza elementi tali da far presumere l’avvio dell’attività;
3. Le perdite poste a fondamento della situazione patrimoniale sulla base della quale era stato deliberato l’aumento di capitale non dovevano, secondo gli attori, considerarsi veritiere.
Con riguardo al merito della vicenda, la sentenza ha evidenziato che, nel nostro ordinamento, la normativa societaria non contempla in maniera espressa una norma che identifica una fattispecie di abuso nelle deliberazioni assembleari; tuttavia, tale ipotesi è configurabile rapportandola al principio maggioritario che governa le deliberazioni assembleari nelle società di capitali.
Viene così evidenziato un uso di tale regola non conforme ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico, oppure da un enunciato normativo espresso, o anche ad una clausola generale.
La figura dell’abuso di potere costituisce, quindi, un limite al principio maggioritario che vige nel diritto societario, corrispondente al principio generale dell’ordinamento giuridico secondo il quale è vietato abusare dei propri diritti e, quindi, fare di essi un esercizio emulativo.
I principi di correttezza, di buona fede contrattuale e di collaborazione, che devono informare l’opera dei soci nell’organizzazione della società, sono il fondamento per riconoscere la figura dell’abuso di potere quale elemento invalidante le deliberazioni assembleari finalizzate esclusivamente a favorire la maggioranza a danno della minoranza, con la precisazione che il canone della buona fede, in senso oggettivo, non impone ai soggetti un comportamento a contenuto prestabilito, ma rileva soltanto come limite esterno all’esercizio di una pretesa, essendo finalizzato al contemperamento degli opposti interessi i quali, nel dinamismo proprio dell’ordinamento societario, sono destinati a trovare adeguata composizione nell’ambito del procedimento deliberativo.
La regola di maggioranza prescrive, dunque, al socio non di esercitare il diritto di voto in funzione di un predeterminato interesse, ma di esercitarlo liberamente e legittimamente per il perseguimento del proprio interesse fino al limite dell’altrui potenziale danno.
Sulla base di tali principi, viene evidenziato che l’abuso o eccesso di potere è causa di annullamento o invalidità delle deliberazioni assembleari allorquando la delibera non trovi alcuna giustificazione nell’interesse della società e costituisca una deviazione dell’atto dallo scopo economico-pratico del contratto di società, per essere il voto ispirato al perseguimento da parte dei soci di maggioranza di un interesse personale antitetico rispetto a quello sociale, ovvero quando costituisca il portato di una intenzionale attività fraudolenta dei soci di maggioranza diretta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e degli altri diritti patrimoniali spettanti ai soci di minoranza uti singuli.