Autorizzazioni paesaggistiche, cosa accade quando la Soprintendenza non provvede

L DANGIOLELLA WEB

Sotto il profilo strettamente istituzionale, l’interpretazione della sentenza del Consiglio di Stato (VI sez. n.4914/2013) sminuirebbe non poco il ruolo della Regioni e degli enti locali asservendo entrambi ai tempi soprintendenze

 

Una recente sentenza del Consiglio di Stato (VI sez. n.4914/2013) riveste un particolare interesse per molti di quegli operatori che si trovano ad agire in zone vincolate paesaggisticamente, e cioè moltissime aree nel nostro Paese, oltre che in particolare della regione Campania.
Si tratta della questione relativa al procedimento di autorizzazione paesaggistica.

L’articolo 146 del Decreto Legislativo 42/2004 (Codice del paesaggio) prevede il concorso di poteri di decisione della Regione (in Campania dell’ente locale) e dello Stato. L’amministrazione gestisce il procedimento di autorizzazione e formula la proposta alla Soprintendenza che deve esprimere il parere vincolante (in pratica, una decisione finale conformativa) entro 45 giorni. Decorsi inutilmente 60 giorni il Comune deve “comunque” concludere il procedimento e provvedere, come prescrive la legge.

La citata sentenza del Consiglio di Stato ha però affermato che, una volta scaduto il termine, il Soprintendente “conserva” il potere di esprimere il parere pur tardivamente e ad esso l’amministrazione procedente deve conformarsi.

Viene dunque affermata una sorta di “perpetuità” del potere soprintendentizio che davvero lascia basìti, perché il Legislatore ha espressamente circoscritto l’arco temporale in cui esso può essere esercitato (come ha affermato qualche sentenza che pare più convincente, come il TAR Veneto, sez. II n. 1295/2013). Le perplessità poi aumentano se si tiene conto dell’interpretazione secondo cui l’amministrazione procedente debba attendere passivamente finchè non “arriva” il parere del Soprintendente.

Una tale interpretazione rende i Comuni e il loro territorio subalterni ai voleri di capricciosi funzionari che avrebbero sempre il dovere di concludere il procedimento appena sono scaduti i 60 giorni, termine nel quale è già compreso un periodo di stand still di 15 giorni, ulteriore rispetto a quello – di 45 giorni – assegnato al Soprintendente per pronunciarsi.

Speriamo davvero che questa tendenza giurisprudenziale possa essere rivista dal Supremo Organo di Giustizia Amministrativa, visto che a subire le conseguenze sono gli imprenditori e i cittadini.

Non c’è certo bisogno in Italia di estendere il potere di veto della burocrazia al di là del testo della legge!