Il Consigliere Amedeo Lepore rimarca la necessità che l’Agenzia per la Coesione Territoriale abbia un board di tecnici, capace di scelte efficaci di programmazione e intervento. La formazione della squadra però – dopo mesi di attesa – langue ancora
Professor Lepore, con il Decreto Legge 101 lo scorso 31 agosto è stata istituita l’Agenzia per la Coesione territoriale, una sorta di task force per migliorare l’efficacia dell’utilizzo dei fondi europei. Nelle premesse, e parzialmente anche negli obiettivi, l’idea governativa ricalca la proposta progettuale della Svimez di creare un’Agenzia per lo sviluppo del territorio nel Mezzogiorno. Ci spiega come funziona l’una e, invece, come era stata concepita l’altra, in cosa differiscono e quali sarebbero i vantaggi certi di ambedue le istituzioni?
L’Agenzia per la Coesione Territoriale ha un compito specifico, che è quello di programmare, coordinare, sorvegliare e sostenere la politica di coesione.
Nel mese di ottobre scorso, essa ha avuto il varo definitivo con una legge che interessa più largamente gli obiettivi di razionalizzazione delle pubbliche amministrazioni, disposizioni urgenti approvate dal governo e modificate in sede parlamentare.
C’è una sostanziale differenza tra il disegno originario proposto dal ministro Trigilia e quello parlamentare che ha introdotto diverse modifiche, tra cui quelle relative all’agenzia Invitalia per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa, inserita come ente di riferimento per la valutazione degli interventi da effettuare. I compiti dell’Agenzia hanno visto una finalizzazione ben precisa in merito ai fondi strutturali europei e a quello per la coesione.
La Svimez, invece, aveva immaginato che l’Agenzia andasse anche oltre la mera gestione dei finanziamenti. Nel percorso parlamentare, inoltre, si sono inserite alcune attenuazioni dei poteri sostitutivi e un riferimento alle Regioni più pregnante anche nel comitato direttivo dell’Agenzia.
La costituzione della squadra di supertecnici, dopo mesi di attesa, però langue ancora. La Svimez aveva richiesto con convinzione che l’Agenzia avesse un board di tecnici, capace di scelte efficaci di programmazione e intervento. Mi auguro che possano essere recuperati questi temi per dare vita a un modello nuovo che raccolga e sintetizzi in sé tutte le istanze della Svimez.
Ambedue le Agenzie hanno carattere tecnocratico. Un requisito non trascurabile….
Se prendiamo a riferimento quella che fu la Cassa del Mezzogiorno, allora vale la pena rimarcare come la stessa fu un “modello” slegato dal rapporto con la gestione politica. La prima sollecitazione è quindi a far sì che si mantengano distinti i compiti; la politica dovrebbe indirizzare e controllare, mentre la gestione dei fondi dovrebbe essere necessariamente tecnica. Il ruolo svolto dalla Cassa agli inizi veniva giudicato dagli americani di primissimo ordine proprio perché era scevro da pressioni politiche, fino agli anni 70 quando purtroppo prevalsero logiche assistenziali dovute proprio a ingerenze politiche. Oggi la preoccupazione principale non è la commistione con la politica quanto, semmai, l’eccesso di burocratismo che può rivelarsi un forte elemento di freno. Il Governo deve dare una rassicurazione in questo senso, garantendo che nella elaborazione dei regolamenti prima e dello statuto dell’Agenzia poi, si tenga conto di qualificate competenze tecniche e capacità nell’affrontare i problemi. Una direzione burocratica dell’Agenzia è assolutamente da scongiurare.
Sui fondi strutturali il problema numero uno resta non tanto l’impiego e la qualità dello stesso, ma il fatto che la spesa da questi generata non crea sviluppo ma esclusivo sostegno. Dove risiede la falla? A mancare è l’impegno da parte del Governo nazionale?
L’esperienza di questi anni non è di certo positiva, tanto per il mancato impiego delle risorse, quanto per come sono stati utilizzati i fondi. È necessario che i finanziamenti europei vengano indirizzati verso impieghi produttivi. La lezione di Pasquale Saraceno è ancora viva: anziché ad accrescere il reddito, i fondi devono essere investiti per vedere aumentate le capacità produttive del Mezzogiorno, aumentando sia la base produttiva, sia la produttività delle attività economiche del Sud. Bisogna, pertanto, pensare a una concentrazione delle risorse verso sbocchi produttivi, capaci di dare risposte di carattere macroeconomico e non estemporanee e di corto respiro.
Del vecchio ciclo quante risorse restano da spendere entro dicembre 2015? Rispetto, invece, alla nuova Programmazione 2014/2020 cosa è cambiato?
C’è da monitorare la spesa della vecchia agenda europea 2007/2013, cui si aggiungono i fondi nazionali per un ammontare di risorse pari a 22 miliardi di euro ancora da impiegare entro dicembre 2015. Il Ministro Trigilia ha fatto un accurato lavoro di riprogrammazione, ma ci sarà da tener conto anche delle osservazioni della Commissione europea. Il Paese corre il rischio di perdere 5 o 6 miliardi di risorse. Vanno allora fatti tutti gli sforzi possibili perché venga impiegato l’intero plafond residuale, pena dare dell’Italia una pessima prova di credibilità. Solo alle Regioni resta più della metà delle risorse ancora da spendere, di cui 10 miliardi del Fondo di sviluppo regionale e 2 miliardi e 3 del Fondo sociale europeo. Riuscire a recuperare il tempo perso è però ancora un risultato fattibile che deve essere conseguito.
Per quanto concerne, invece, la riprogrammazione ritengo sia essenziale anche per questa ragione procedere all’attuazione dell’Agenzia perché – altro reale pericolo che corriamo – se la Commissione europea non approva entro luglio l’accordo di partenariato, tutto slitta all’inizio del 2015. Perderemmo così un anno di fondi e non possiamo permettercelo.
Si fa un gran parlare di macroregioni in Italia: qual è la sua posizione a riguardo?
Non si tratta di ragionare in termini separatisti, ma nazionali ed europei. Del resto da tempo è in discussione una possibile riforma costituzionale del Titolo V. Ripensare al modello delle Regioni non equivale al loro commissariamento, ma all’opportunità di individuare meccanismi utili a razionalizzare la spesa pubblica e poteri sostitutivi per rimuovere le tante inefficienze. Faccio mia in questo senso l’intuizione di Giorgio Ruffolo quando nel 2010 disse che al Sud occorreva un modello di grandi aggregazioni territoriali che consentissero di gestire grandi problemi, con una logica di insieme, con condizioni ambientali di sviluppo comuni. L’obiettivo istituzionale resta quello di semplificare e far crescere al contempo un nuovo modello. Questa è la stagione in cui cominciare a discuterne.