Con il Patto della Fabbrica le parti sociali hanno dimostrato di esserci e di essere unite tra loro nell’interesse delle imprese e dei lavoratori e la politica non può non tenerne conto
Un manifesto per la responsabilità sociale di impresa: Maurizio Stirpe, vice presidente di Confindustria per il Lavoro e le Relazioni Industriali, ha definito così – nelle pagine a seguire – l’accordo raggiunto di recente tra le tre sigle sindacali Cgil, Cisl e Uil e Confindustria. Al bando la conflittualità, quindi, in vista di un obiettivo comune: creare un contesto sociale che favorisca la crescita del Paese, il cui fulcro deve continuare ad essere il lavoro.
Il Patto della Fabbrica – così come è stato ribattezzato il documento – è la risposta concreta degli uomini di impresa a quella crisi endemica dei corpi intermedi di cui si è tanto detto negli ultimi anni. Con questa intesa, infatti, le parti sociali hanno voluto rimarcare che, in un momento delicato come questo per il nostro Paese, strattonato da personalismi e spinte divisive, il metodo non può essere lo scontro ma la coesione.
Le parti sociali ci sono, sono unite nell’interesse delle imprese e dei lavoratori e la politica non può non tenerne conto.
Al centro dell’accordo sottoscritto c’è la consapevolezza di dover costruire un sistema industriale più competitivo, in cui lo scambio salario/produttività diventi regola, grazie al trasferimento di maggiore potere alla contrattazione decentrata, prendendo al contempo atto delle difficoltà dello Stato nel garantire lo stesso sistema di welfare cui erano abituati i nostri padri, con la conseguente necessità di sviluppare ulteriori forme di benessere aziendale come parte integrante delle relazioni industriali.
Ma il Patto della Fabbrica è – dicevamo – qualcosa di più di un’intesa tra le parti.
È la conferma che il Paese ha bisogno di una rappresentanza autorevole e di un sistema di relazioni industriali partecipativo, strutturato e fondato su rapporti di cooperazione.
Sono questi per noi gli strumenti più idonei a proteggere e rafforzare le realtà produttive esistenti, incoraggiare nuovi investimenti e, al contempo, allontanare le “distorsioni” del mercato.
Il nostro è un ruolo di fondamentale importanza perché – è come lo ha definito lo stesso presidente di Confindustria Boccia – il nostro è un presidio di democrazia e partecipazione alle scelte della politica.
Non possiamo restare a guardare lasciando fare ad altri quello che è il nostro compito. Non sarà il mercato a creare il cambiamento. Dobbiamo essere noi – imprese, lavoratori e sindacati insieme in una nuova logica cooperativa – a innescarlo, coltivarlo, consolidarlo. Il dialogo costruttivo e finanche il compromesso, se positivo, sono necessari alla crescita di un Paese, sempre che sia la crescita del Paese l’obiettivo finale comune a tutti.
L’alternativa – pericolosa – al senso di comunità che lavora per un medesimo progetto è quella di trovarsi sì con uomini forti al comando, ma di popoli e democrazie sciatte, svuotate ed estremamente deboli.