Contraffazione del marchio comunitario e concorrenza sleale

Nel determinare l’esistenza di un rischio di confusione tra brand, il confronto tra gli stessi deve fondarsi sull’impressione “complessiva”, tenendo conto, in particolare, degli elementi distintivi e dominanti

 

Il Tribunale di Milano, Sezione Imprese, con la sentenza n. 9754 del 29/09/2017 ha deciso su un’interessante questione relativa alla contraffazione del marchio comunitario.

Il fatto.

Una società spagnola, operante nel settore della bellezza e della cosmetica, conveniva in giudizio una società a responsabilità limitata italiana chiedendo di accertare e dichiarare la nullità della registrazione italiana del marchio per mancanza di novità e che l’uso di tale marchio integrava: 1) contraffazione del marchio comunitario dell’a

ttrice; 2) atto di concorrenza sleale si sensi dell’art. 2598 n. 1 e 3 cod. civ. poiché la somiglianza tra i due marchi era idonea a generare nel pubblico confusione con ogni conseguente pronuncia.

La parte attrice contestava, inoltre, la liceità della registrazione del dominio della convenuta poiché contrario all’art. 22 cpi chiedendone la riassegnazione. In considerazione di queste violazioni l’attrice chiedeva, infine, una condanna generica al risarcimento del danno emergente e del lucro cessante, nonché del danno all’immagine anche solo potenziale. La società convenuta contestava la fondatezza della domanda sostenendo che i segni distintivi azionati da parte attrice erano parzialmente differenti sia nella parte denominativa (aggiunta di un sostantivo e di un acronimo) che in quella figurativa (presenza di un ideogramma cinese), circostanze che avrebbero reso il marchio dell’attrice “complesso” e comunque differente da quello successivamente depositato dalla convenuta.

La parte attrice deduceva dunque innanzitutto la nullità del marchio successivamente registrato dalla società convenuta, in considerazione delle anteriorità dimostrate e del grado di confondibilità tra i segni distintivi oggetto di causa.L’attrice era titolare di due marchi figurativi europei registrati per la classe n. 3 (prodotti per la cura e il trattamento dei capelli, oli essenziali per capelli, cosmetici per capelli). Orbene, ai sensi dell’ 8 par. 1, lett, b) Reg, CE 207/09 è escluso dalla registrazione il marchio che «a causa dell’identità o della somiglianza (…) col marchio anteriore e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi per i quali i due marchi sono stati richiesti, sussiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione con il marchio anteriore».

Per quanto riguarda, invece, l’ordinamento italiano, ai sensi del combinato disposto degli artt. 25 comma 1) lett. a) e 12 c.p.i. sono nulli i marchi che non possono essere oggetto di registrazione, ovvero «i segni che alla data di deposito della domanda (…) siano identici o simili ad un marchio già registrato nello Stato in seguito a domanda depositata in data anteriore (…) per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell’identità o somiglianza tra i segni e dell’identità o affinità fra i prodotti o i servizi possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione tra i due segni».

Il Tribunale nella pronuncia che si annota ha evidenziato la necessità di valutare la somiglianza dei segni e dei prodotti e l’idoneità a creare confusione nel pubblico di riferimento anche con riguardo ad un “rischio di associazione”, così confermando l’orientamento della giurisprudenza secondo cui la somiglianza tra due marchi va valutata in virtù di un esame complessivo, ovvero visivo, fonetico e concettuale. Esso, pertanto, non dev’essere analitico, ma fondarsi sull’impressione complessiva fornita dai marchi confrontati considerando i loro elementi distintivi e prevalenti. Eventuali differenze fonetiche, dunque, potrebbero essere neutralizzate da somiglianze visive e viceversa, in virtù della ordinaria diligenza e consapevolezza che i consumatori utilizzeranno nel confrontare il marchio che “vedono” in concreto al momento di effettuare un acquisto con quello che “ricordano” dell’altro. Ciò peraltro vale anche per i marchi “complessi” caratterizzati cioè dalla presenza di un elemento denominativo e di uno figurativo.

Nel caso di specie, il Tribunale dal confronti dei due marchi ha accertato che il marchio dell’attrice era anteriore a quello della convenuta e per le sue caratteristiche intrinseche privava il successivo del requisito della novità; inoltre trattandosi di un marchio forte, dotato di capacità distintiva sul mercato dei prodotti per capelli, dovevano ritenersi illegittime tutte le variazioni e modificazioni anche se rilevanti e originali che lasciano sussistere l’identità sostanziale del “cuore” del marchio, ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume.Sulla scorta di tale considerazione il Tribunale giunge, nel caso di specie, ad escludere il requisito della novità del marchio avversario dichiarando pertanto la nullità dello stesso per mancanza di tale requisito.

Per quanto concerne poi il profilo relativo alla contraffazione e quindi alla concorrenza sleale, l’art. 9 Reg. (CE) 207/2009 dispone che «il titolare ha il diritto di vietare a terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio: (…) b) un segno che a motivo della sua identità o somiglianza col marchio comunitario e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio comunitario o dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione tra segno e marchio». Alla luce di tale normativa e delle considerazioni sopra svolte in tema di requisito della “novità”, il Tribunale conclude per la confondibilità dei marchi delle due aziende ritenendo così sussistente sia la fattispecie della contraffazione, sia quella di concorrenza sleale nell’accezione dell’”imitazione servile”.
Viene evidenziato in particolare come la valutazione del “rischio di confusione” tra marchi vada condotto in via “globale e sintetica”, ovvero secondo lo stesso paradigma che seguirebbe un consumatore di ordinaria diligenza nella fase di acquisto del prodotto.

In relazione poi alla problematica della confondibilità del nome a dominio, poiché ai sensi dell’art. 22 cpi,«è vietato adottare come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio di un sito usato nell’attività economica o altro segno distintivo un segno uguale o simile all’altrui marchio se, a causa dell’identità o dell’affinità tra l’attività di impresa dei titolari di quei segni ed i prodotti o servizi per i quali il marchio è adottato, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico che può consistere anche in un rischio di associazione tra i due segni (…)». In considerazione di ciò e del rischio confusione, soprattutto per associazione, il Tribunale ha ordinato la riassegnazione del nome a dominio in capo all’attrice.
Quest’ultima ha chiesto inoltre la condanna generica al risarcimento del danno conseguente agli atti di concorrenza sleale sopra descritti. Il Tribunale sotto tale profilo ha ritenuto di aderire all’orientamento espresso dalla Suprema Corte con la sentenza n. 3478/2009 secondo cui «in tema di repressione degli atti di confusione posti in essere mediante specifici atti di concorrenza sleale (art. 2598 cod. civ.) ai fini della pronuncia di condanna generica al risarcimento dei danni, non si richiede che un danno sia stato già prodotto in relazione ad un’attività concorrenziale in atto, essendo invece sufficiente una situazione di concorrenza potenziale».

Il Tribunale adito pertanto in accoglimento delle domande proposte dall’attrice ha in definitiva accertato e dichiarato: 1). La nullità della registrazione italiana del marchio; 2) la contraffazione del marchio comunitario per effetto della produzione, offerta in vendita e pubblicizzazione di prodotti contrassegnati dal marchio italiano contraffatto; 3) la natura di atto di concorrenza sleale ex art. 2598 nn. 1 e 3 cod. civ. disponendo per l’effetto l’inibizione della prosecuzione delle attività illecite dirette alla commercializzazioni di prodotti contrassegnati al marchio contraffatto. Il Giudice adito ha inoltre: ordinato il ritiro dal mercato dei prodotti contraffatti disponendo una penale di euro 30,00 per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione della sentenza; ordinato la riassegnazione del nome a dominio all’attrice; condannato la convenuta al risarcimento del danno da liquidarsi in separato giudizio; e, infine, disposto la pubblicazione della sentenza sulla rivista Largo Consumo, la trasmissione della sentenza all’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi e la condanna della convenuta alle spese di lite.