A margine del convegno sul programma europeo Garanzia Giovani, organizzato dal Gruppo Giovani Imprenditori salernitano dello scorso 13 giugno – che ha visto tra l’altro anche il passaggio di consegne tra il presidente uscente Gennaro Lodato e il nuovo Francesco Giuseppe Palumbo – abbiamo conversato con il professore di Politica Economica Europea alla Luiss Luciano Monti del suo libro “Ladri di futuro. La rivoluzione dei giovani contro i modelli economici ingiusti”
Professore, chi sono i ladri di futuro che lei denuncia nel suo ultimo libro?
I ladri di futuro non sono una particolare categoria di persone o una determinata generazione, anche se è innegabile che i cosiddetti baby boomer – cioè i nati tra l’immediato dopoguerra e l’inizio degli anni sessanta – hanno indubbiamente una forte responsabilità sullo stato attuale delle cose. Il furto del futuro alle più giovani generazioni è compiuto giornalmente da quanti si arroccano nelle loro prerogative e diritti, non rendendosi conto che questi ultimi sono stati spesso conseguiti a spese anche dei loro figli. Ma è furto di futuro anche l’atteggiamento diffuso di molti giovani che rimanendo inattivi e sperando che qualcuno decida per loro, condannano tutta la loro generazione a non poter progettare il proprio avvenire. Ladri di futuro sono anche quanti spingono i giovani verso una realtà virtuale come quella dei social nel nome di una nuova possibile democrazia e coloro che vogliono “costruire” il futuro ai giovani, secondo propri canoni.
La diseguaglianza economica è uno dei mali, se non il principale, del pianeta. Ma una ridistribuzione della ricchezza accumulata da pochissimi a svantaggio di molti sarebbe possibile? In che modo?
La diseguaglianza economica è un fenomeno insito in qualsiasi sistema economico non rigorosamente collettivistico o mutualistico ma diventa un problema e quindi un male quando assume proporzioni elevate e spinge ampie fasce di popolazione verso la povertà. Povertà e diseguaglianza vanno infatti di pari passo, così come entrambe tendono ad elevarsi nel momenti di recessione o di depressione come quello attuale, che finisce per colpire gli strati più deboli della società: i giovani senza esperienza e gli adulti con una bassa scolarità.
Il problema tuttavia non è tanto quello della ridistribuzione della ricchezza mediante una semplice perequazione, che avrebbe un effetto positivo nel breve periodo ma riporterebbe l0 stato delle cose al punto di partenza nel medio lungo periodo. Il problema è ridistribuire le opportunità.
Mi spiego con un esempio: se io mi limito a effettuare un prelievo ai più abbienti trasferendo questa ricchezza ai meno abbienti in equivalenti servizi sociali, certamente nel breve periodo avrò contribuito a ridurre il disagio sociale, ma nel lungo periodo continuerò ad avere dei ricchi un po’ meno ricchi e degli assistiti un po’ più assistiti. Di questo passo anche la mobilità sociale sarà sempre più limitata e i figli dei più abbienti continueranno ad esserlo così come i figli degli assistiti probabilmente erediteranno il disagio dai loro genitori.
Se, invece io destino il prelievo a misure strutturali che puntino a creare una piattaforma di opportunità realmente disponibile per tutte le nuove generazioni, nel medio lungo periodo potrò veramente parlare di redistribuzione di ricchezza.
Lei propone una possibile rivoluzione per sovvertire l’ordine delle cose, rivoluzione che si fonda sul concetto di sostenibilità integrata: cosa può ragionevolmente e cosa necessariamente deve cambiare?
Per attuare questo piano, bisogna necessariamente procedere ad una vera e propria rivoluzione che prima ancora che economica sia culturale. In realtà molti giovani già si sono indirizzati in questa direzione: si pensi alla mutata attitudine verso il lavoro, non più concepito come posto fisso, verso la mobilità (la generazione Erasmus) e al rispetto dell’ambiente. Questa attitudine anticipa e accompagna un vero e proprio cambio di paradigma sia economico (non si tornerà mai ai livelli pre-crisi), sia sociale (con i processi di adattamento ai mutamenti climatici e di resilienza in atto).
Un modello economico che voglia accompagnarci in questa evoluzione storica a mio parere deve quindi poggiare sul principio della sostenibilità integrata, cioè non solo attenta alla impronta ecologica che oggi ci fa consumare le risorse del pianeta intorno alla metà di agosto di ciascun anno, ma anche la equità generazionale, che ci impone di non pregiudicare il benessere delle generazioni future.
Quali sono i pilastri di una efficace politica economica intergenerazionale?
La definizione di questi pilastri sconta ovviamente tutte le difficoltà attorno alla ricerca di risposte univoche alle domande di fondo sulla definizione di benessere, sui modi di rilevarlo e ottenerlo. Le rilevazioni degli ultimi quarant’anni ci dicono che l’aumento della ricchezza non è stato accompagnato da un proporzionale aumento del benessere. I grandi interrogativi circa la giustizia globale e la lettura dinami¬ca dell’equità intergenerazionale conducono, inoltre, a ricercare pilastri che possano reggere ad una evoluzione di lungo periodo, idealmente atemporali.
Pilastri che, proprio in considerazione dell’orizzonte temporale con il quale si devono confrontare, presuppongono solide fondamenta che prescindano dalle urgenze e dagli orientamenti dettati dalla attuale congiuntura.
Per questo preferisco politiche economiche ad ampio raggio, che vadano cioè a considerare non solo le dinamiche stret¬tamente economiche, ma anche quelle sociali e di qualità della vita in una visione non esclusivamente antropocentrica.
Provando ora a enucleare i principali pilastri bisogna esplo¬rare tre ambiti differenti:
a) l’evoluzione dell’immaginario collettivo e i percorsi educativi che do¬vrebbero accompagnarla;
b) il rapporto tra l’uomo e la natura e dunque le politiche energetiche e a difesa dell’ambiente da porre in atto per ricostruire il capitale naturale;
c) l’ambito della equità intergenerazionale e una coerente politica fiscale perequativa per la sostenibilità integrata.
Questi ambiti sono dunque il terreno sul quale una politica reale e sostenibile deve confrontarsi. Sono dunque e specularmente tre i pilastri che la devono sostenere e attorno ai quali sviluppare un movimento di opinione che riunisca le forze espresse dalle giovani generazioni oltre che da ogni cit¬tadino animato da uno spirito di solidarietà generazionale: una nuova politica educativa che accompagni, al paradigma emergente, una politica energetica e ambientale con grande attenzione al profilo occupazionale e una politica fiscale che possa sorreggere le altre due grazie ad una redistribuzione delle opportunità e non solo della ricchezza.