Per ottimizzare la posizione fiscale quale scelta conviene al risparmiatore: fare affrancamento, giro titoli o coefficientamento? Vediamo nel dettaglio come si configura ciascuna di queste operazioni
Come già saprete, dal 1 Luglio, la tassazione sui guadagni è aumentata dal 20% al 26%, su: conti correnti e conti postali, azioni, obbligazioni, conti deposito, fondi di investimento. Saranno invece esclusi: titoli di Stato (Bot e Btp), che manterranno l’aliquota del 12,5% e fondi pensione (11%). I risparmiatori in regime di risparmio amministrato o dichiarativo probabilmente si chiedono che fare di fronte a questo nuovo appesantimento fiscale sulle posizioni detenute in azioni, obbligazioni, fondi o Etf, per ottimizzare la posizione fiscale.
Non esiste una risposta univoca e buona “per tutte le stagioni”. Si tratta di valutare la situazione e fare la scelta migliore, tenendo conto del tipo di perdite da recuperare e della loro entità, del tipo di investimenti effettuati (azioni, obbligazioni, titoli di Stato, derivati, certificati), del capitale a disposizione e della propensione al rischio.
Se per recuperare una minusvalenza è necessario un capitale che eccede le proprie disponibilità oppure un investimento che supera la soglia del rischio ammissibile, è evidente che non sarà possibile scegliere quella strada. E soprattutto, il recupero fiscale non può e non deve essere l’unica ragione per fare le scelte di investimento più opportune, rischiando di ottenere più danni che benefici.
Ora entriamo nel dettaglio e iniziamo dall’affrancamento. Con l’affrancamento è possibile assoggettare alla vecchia aliquota (il 20%) tutte le plusvalenze maturate fino al 30 giugno e poi vedersi applicata la nuova aliquota (il 26%) dal 1° luglio in poi. Per fare questa operazione, c’è tempo fino al 30 settembre. Quindi non bisogna correre ma è comunque necessario sbrigarsi a capire e decidere.
Quali sono le controindicazioni dell’affrancamento? Le alternative sono: non fare nulla o vendere, operazione che andava fatta però entro il 30 giugno. Rispetto all’affrancamento, queste scelte possono essere fatte anche solo parzialmente, ad esempio vendere solo i titoli in utile.
L’affrancamento, invece, vale per tutta la posizione del deposito titoli, quindi utili ma anche perdite. Si ottiene una “cessione figurativa”, cioè è come se si vendessero tutti i titoli al 30 giugno, pagando il 20% di imposta in via anticipata, perché i titoli non sono realmente venduti.
Quale rischio si corre è evidente: se le perdite sono maggiori degli utili, si ottiene un danno e non un vantaggio, e badate che i prezzi calcolati saranno quelli medi di carico.
Un esempio per chiarire: le plusvalenze nette (plusvalenze meno minusvalenze) sono pari a 5.000 euro? Pagate 1.000 euro di imposta al 30 giugno. Se, dopo, i prezzi dei titoli scendono e addirittura diventano inferiori ai prezzi medi di carico, e voi vendete il titolo, alla perdite di valore dovrete sommare il 20% già pagato e che lo Stato non vi restituirà (chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato…vi ricorda qualcosa?). Se salgono oltre il prezzo medio, quando vendete il titolo pagherete il 26% solo sulla differenza (prezzo di vendita – prezzo medio).
Se invece non ci si avvale dell’affrancamento, il rischio è che si paghi una tassa retroattiva sui guadagni (il 26% si paga anche se l’utile che è maturato precedentemente), non essendo previsti meccanismi correttivi, ad esempio, dell’inflazione.
Morale, la tassa potrebbe annullare l’utile realizzato.
Come vedete, si tratta di un paradosso, da cui non se ne esce.
É necessario fare calcoli precisi, ma non è possibile sapere il prezzo futuro dei titoli. In qualità di consulente e analista indipendente posso solo fare delle previsioni.
Se decidete di procedere con l’affrancamento dovete rivolgervi alla vostra banca o intermediario dove avete depositato il dossier titoli. Le banche stanno predisponendo la documentazione e le procedure per aderire, entro il 30 settembre.
Se nella vostra posizione detenete fondi e sicav (e anche ETF), per le quote dei fondi comuni italiani ed esteri non è più prevista la procedura dell’affrancamento. Si tratta invece di uno specifico regime transitorio in base al quale, in sede di rimborso, cessione o liquidazione delle quote, si applica l’aliquota nella misura del 26% sui proventi realizzati a decorrere dal 1° luglio 2014, mentre sui proventi realizzati dopo questa data, ma riferibili a valori maturati fino al 30 giugno 2014, continua a applicarsi l’aliquota nella misura del 20%.
Se liquidate un fondo dopo il 30 giugno sulla plusvalenza, infatti, pagherete la vecchia aliquota per il valore fino al 30 giugno e poi il 26% solo per il capital gain successivo.
A proposito di zainetto fiscale, c’è di nuovo un meccanismo diabolico, ovvero le minus pregresse si recuperano “di meno”. Vi spiego perché: dato che la tassazione passa dal 20% al 26%, sarà utilizzato il “coefficientamento” (vengono usati sempre termini semplici e trasparenti, come notate!). Cos’è? In pratica, lo zainetto fiscale si riduce del rapporto tra 20 e 26, cioè del 23,08%. Se però la posizione fiscale risale a prima del 31/12/2011, quando la tassazione era al 12,50% (e siccome ci sono 4 anni successivi per recuperare le perdite, fino al 2015 ci saranno probabilmente questi casi), il coefficientamento riduce le posizioni del rapporto tra 12,50 e 26, cioè del 51,92%.
In pratica, se avete 1000 euro di minusvalenze da recuperare, sono ridotte a 769,2 euro compensabili, se invece erano ante 2011 si riducono a 480,8 euro.
Lo Stato si è abbuonato una parte del debito che aveva con gli investitori, cancellandolo con un colpo di spugna!
Badate che questa non è una opinione, ma un dato di fatto, basato su quanto pubblicato in Gazzetta Ufficiale (art 13 del provvedimento) e sull’esperienza passata, perché nel 2011, con il governo Monti, è accaduta la stessa cosa, passando alla tassazione dal 12,50 al 20%.
Non ci resta che piangere?