Cooperazione allo sviluppo e imprese: inizia una nuova era?

Ely Szajkowicz

Il Disegno di Legge, approvato alla Camera il 17 luglio scorso, si fonda sul principio che il vero progresso economico si crea solo attraverso partenariati solidi con i Paesi in ritardo di sviluppo

 

Il 17 luglio di trentotto anni fa iniziarono in Italia le prime trasmissioni sperimentali della televisione a colori. Iniziò così la grande trasformazione del mezzo televisivo che c’era già, ma trasmetteva in bianco e nero, specchio di una società tecnologicamente molto più semplice rispetto ad oggi.

Qualcosa del genere è avvenuto il 17 luglio 2014, quando la Camera dei Deputati ha approvato il Disegno di Legge di riforma della Cooperazione italiana allo sviluppo.

Il nuovo testo si fonda su due pilastri: la Cooperazione allo Sviluppo diventa «parte integrante e qualificante della politica estera» e abbandona il precedente schema paternalistico di solidarietà verticale donatori-beneficiari, per adottare invece il concetto “orizzontale” di partnership. L’architettura è semplice: non possiamo creare sviluppo economico che porti fuori dalla crisi se non costruiamo partenariati con i Paesi in ritardo di sviluppo. Ne deriva l’incentivazione allo sviluppo anche del partenariato pubblico-privato che, sia pure in un‘ottica di impatto di cooperazione, vale a dire di progetti che aiutino lo sviluppo dei Paesi destinatari, portano la Cooperazione a sollecitare una maggiore presenza delle imprese – cui viene finalmente riconosciuto un ruolo di traino nella crescita delle economie nazionali dei PVS – attraverso una strumentazione finanziaria “attraente”, consultabile sul sito della Direzione Generale Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Esteri.

Tra i vari strumenti è importante sottolineare la nuova formulazione dell’art.7 della L. 49/87 che incentiva le imprese miste, erogando all’impresa italiana un credito agevolato fino al 70% del capitale sociale versato, ad un tasso di interesse molto vantaggioso, per un importo massimo del credito fino a 10 milioni di euro.

Si tratta di un cambiamento che, per quanto epocale, è armonico con quello, analogo, della Commissione Europea. Una briciola di merito, per una volta, ce la prendiamo anche noi di Confindustria Assafrica & Mediterraneo. Che sin dai tempi della Convenzione di Lomé nel lontano 1975 abbiamo lavorato a Bruxelles, insieme alle nostre consorelle dei Paesi europei perché, accanto agli aiuti di Stato, la politica della Commissione in tema di aiuto pubblico allo sviluppo riconoscesse il ruolo trainante del settore privato per lo sviluppo durevole dei PVS.

E quest’anno abbiamo fornito l’unico contributo italiano del settore privato alla Consultazione pubblica della Commissione Europea in preparazione del Comunicazione UE del maggio scorso su come promuovere il ruolo delle imprese nella Cooperazione allo sviluppo, articolata in tre Proposte, una delle quali recepita dalla Comunicazione stessa.
Adesso anche l’impresa italiana può offrire all’interlocutore di un PVS uno strumento finanziario importante per la costituzione di una joint venture (purché non ci sia delocalizzazione). L’African Economic Outlook dell’African Development Bank sostiene che nel Continente c’è stato un aumento complessivo senza precedenti degli investimenti stranieri. Dal 7% nel 2007 al 18% nel 2012. Ed è per questo che gli occhi del mondo sono puntati sul potenziale africano. Ora però tocca alle nostre imprese utilizzare l’art.7, finora assai poco gettonato, pena lo “spiazzamento strategico” nel medio periodo rispetto ai nostri competitors, che usano gli strumenti della loro Cooperazione allo sviluppo per farsi conoscere e lavorare in Paesi, specie dell’Africa sub sahariana, che vogliono crescere fortemente e in tempi rapidi.