Licenziamenti: quando un caffè costa il posto

massimo ambronColpevole il cassiere allontanatosi dal luogo di lavoro per la pausa.

 

La Corte di Cassazione sezione Lavoro, con sentenza del 28 marzo 2013 n. 7819, confermando la sentenza della Corte di Appello di Caltanissetta, ha affermato la legittimità del licenziamento irrogato da un Istituto bancario al proprio dipendente nella sua qualità di cassiere, cui venivano contestati tre diversi addebiti tra cui l’allontanamento da posto di lavoro per la pausa caffè.

Il primo, riguardava il rifiuto del cassiere di compiere un’operazione bancaria richiesta da un cliente anche se prevista dal manuale esplicativo della banca in uso; il secondo riguardava l’allontanamento dalla propria postazione senza procedere alla chiusura della cassa lasciando incustodito il denaro con un’operazione di versamento in corso, così come il terzo addebito contestatogli riguardava sempre l’allontanamento dalla propria postazione lavorativa per recarsi al bar senza curarsi della clientela che attendeva il suo rientro.
Il cassiere – impugnato il licenziamento – sostenendo tra l’altro che al momento dell’allontanamento per la pausa caffè operavano altri colleghi su più casse, con la conseguenza che la sua momentanea assenza non avrebbe inficiato o rallentato di gran lunga le operazioni, risultava vincente sia in primo, sia in secondo grado, ma la Suprema Corte cassava con rinvio la sentenza di appello.

La causa, quindi, veniva riassunta e i giudici di rinvio, accogliendo le ragioni avanzate dalla Banca, si pronunciavano a favore di quest’ultima ritenendo gli episodi contestati sufficientemente gravi da integrare la giusta causa del licenziamento.

Quest’ultima pronuncia veniva impugnata dal lavoratore ancora con ricorso in Cassazione, che, con la succitata sentenza ha affermato il principio secondo il quale <<la giusta causa di licenziamento di un cassiere di banca, affidatario di somme anche rilevanti, deve essere apprezzata con riguardo non soltanto all’interesse patrimoniale della datrice di lavoro ma anche, sia pure indirettamente, alla potenziale lesione dell’interesse pubblico alla sana e prudente gestione del credito. Né il rigoroso rispetto delle regole di maneggio di denaro può essere sostituito da non meglio specificate regole di buon senso, idonee ad assicurare la conservazione del denaro della banca e dei clienti>>.

Inoltre, non sono state accolte le ragioni poste a supporto della difesa del lavoratore circa l’esistenza di una prassi aziendale secondo la quale si consentiva agli impiegati di banca di allontanarsi dalla propria postazione di lavoro senza alcun permesso, nonché l’eccessiva severità della sanzione irrogata stante l’operatività di altre casse al momento dell’allontanamento del lavoratore. La Cassazione in commento, sul punto, ha stabilito che <<la censura alla decisione impugnata di non avere tenuto conto, che al momento dell’allontanamento del B. per la pausa caffè, operavano più casse, non è decisiva perché la presenza di una pluralità di casse, delle quali non è detto se tutte in funzione, non esclude comunque che il venir meno di una cassa rallentava le operazioni delle altre sulle quali venivano dirottati i clienti in fila che comunque erano in numero cospicuo, né incide sulla valutazione della negligenza della condotta del B. espressa nella sentenza di secondo grado>>.