Detriti della storia

Opera Gian Maria TosattiPer un museo della polvere, progetto di Gian Maria Tosatti, sarà visitabile fino al 10 ottobre tutti i giorni dalle 9 alle 19.30 presso il Museo Archeologico Provinciale di Salerno

Parte di un ciclo di opere e interventi con cui l’artista interroga l’archeologia del presente e la nostalgia del futuro, mirando a conservare, a preservare e ripensare l’attualità attraverso le stratificazioni del passato, Per un museo della polvere (fino al 10 ottobre 2014, tutti i giorni dalle 09.00 alle 19.30, lunedì escluso), il progetto realizzato da Gian Maria Tosatti (quarta mostra del ciclo Tempo Imperfetto organizzato dalla Fondazione Filiberto Menna – Centro Studi d’Arte Contemporanea) per gli spazi del Museo Archeologico Provinciale di Salerno, muove da un discorso orientato a decifrare e a condensare in reliquia la contemporaneità.

 

Allacciandosi a La Peste, primo step del ciclo espositivo Sette Stagioni dello Spirito – a cura di Eugenio Viola – tenutosi negli spazi della Chiesa dei SS. Cosma e Damiano, nella zona dei Banchi Nuovi a Napoli, Tosatti propone a Salerno un lavoro che, se da una parte mostra una solida passione del reale (Badiou), dall’altra tende a creare storia con gli stessi detriti della storia (Benjamin) adottando l’approccio archeologico proposto da Giorgio Agamben, lettore e interprete di Michel Foucault, per rappresentare uno spazio utile a leggere l’oggetto stesso di un sapere che, lo suggerisce Foucault nel suo volume L’archéologie du savoir (1969), tende a ricercare e a interrogare l’attualità mediante un dispositivo che getta sul passato l’interrogarsi sul presente».

Si tratta di un procedimento che l’artista adotta per disegnare un’atmosfera sul decisivo tema della cura e sulla presenza del passato nel mondo contemporaneo, ma anche di una riflessione che punta l’indice sull’impossibilità di ricostruire i fatti e le storie, di montare i frammenti di un firmamento, di una patina – la polvere della Chiesa dei SS. Cosma e Damiano, più precisamente – che è essa stessa appressamento del tempo, feroce annullamento (voluto occultamento) di una memoria da riscoprire.

 

Con questa avventura Tosatti spinge l’acceleratore su un brano estetico che fa i conti con un fitto strato di realtà per negoziare un patto con la storia e costruire un nuovo discorso che rivisita non solo la seconda guerra mondiale ma anche uno spazio abbandonato, un luogo, un territorio al quale l’artista si avvicina per progettare una nuova forma di restauro, di conservazione, di tutela.

Composto di una base in legno lavorato e dorato, una teca in plexiglass riempita di polvere – di una «sostanza del presente prima ancora di essere residuo del passato» (Tosatti) – e una struttura metallica che sigilla l’intero contenitore, La mia parte nella seconda guerra mondiale decontestualizza archeologicamente i residui ritrovati nell’antica chiesa per collocarli in un luogo deputato e custodito, per spostare e depositare in un raccoglitore il detrito storico, la mole indigesta, il rimasuglio di una storia illeggibile ma intellegibile.

 

«La polvere» suggerisce Tosatti, «è un elemento con cui mi trovo sempre a fare i conti, perché è ciò che conserva, come una coltre, i luoghi dimenticati che, come lo Stalker di Tarkovskij, vado a riattivare con la mia presenza in quanto artista. […]. È l’elemento attraverso cui, si scrive una storia, […] è l’elemento che definisce spesso una grandezza temporale e il suo contenuto in termini storici, o meglio, in termini di Storia e di storie. Saper districare le trame di questo romanzo è ciò che ho fatto […]» e, «in fondo, è quel che faccio ogni volta» Gian Maria Tosatti muove dunque da un prefisso teorico che sceglie di affrontare il presente mediante la lettura di un passato scomodo.