La dinamica “tempo” è essenziale e va rispettata
Costituisce tema di grande interesse, che coinvolge la vita di ogni cittadino e di ogni impresa, quello relativo al ritardo della Pubblica Amministrazione nel provvedere a fronte della presentazione di un’istanza. La celerità dell’azione amministrativa, in aderenza ai dettami comunitari, è certamente espressione della migliore realizzazione dell’interesse pubblico e della maggiore tutela dell’interesse privato.
La legge 69/2009 ha introdotto nel corpo della legge 241/1990 l’art. 2-bis, secondo cui le pubbliche amministrazioni sono tenute al risarcimento del danno da ritardata conclusione del procedimento amministrativo, qualora il ritardo sia ascrivibile almeno a titolo di colpa.
Con tale norma è stata positivizzata la responsabilità del danno da ritardo, che dalla interpretazione letterale va ad inquadrarsi come extracontrattuale. Il danneggiato, dunque, deve provare tutti gli elementi costitutivi delle relativa domanda, ossia oltre al danno, l’elemento soggettivo del dolo o della colpa e il nesso di causalità tra danno ed evento. La prescrizione è quinquennale, e non è richiesto un particolare sforzo probatorio per rilevare la sussistenza dell’elemento soggettivo, poiché possono, secondo la giurisprudenza, operare le regole di comune esperienza e la presunzione semplice di cui all’art. 2727; spetterà alla P.A. dimostrare la sussistenza dell’errore scusabile.
Ad integrare la disciplina è intervenuto il Codice del Processo Amministrativo che all’art. 30, prevede che nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti. É dunque richiesta anche al cittadino che si duole del danno di provare che ha usato tutta la diligenza possibile per evitare il ritardo in primis sollecitando che la P.A. provveda.
La giurisprudenza, sia pure con titubanze conservatrici, ritiene in maggioranza che vi sia la risarcibilità del danno da ritardo come danno del tutto autonomo alla spettanza effettiva del bene delle vita (danno da mero ritardo) fino a spingersi addirittura, in una pronuncia esemplare, a riconoscere anche il risarcimento del danno biologico (C.d.S. 28.02.2011, n. 1271); tale pronuncia, riconoscendo il danno da ritardo nel rilascio di un permesso di costruire, ha chiarito che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento. È ben possibile, infatti, che il privato, o l’impresa, trascorso un ampio lasso di tempo, non abbiano più interesse alla pronuncia della P.A., indipendentemente dal contenuto favorevole o sfavorevole del provvedimento; e possibile, poi, che nelle more dell’adozione del provvedimento finale il privato abbia rinunciato a delle opportunità favorevoli, magari avrebbe potuto investire diversamente dei capitali.
Tale pregiudizio va senz’altro risarcito, poichè anche il tempo è, ormai, diventato un bene della vita.