Eduardo De Filippo, il teatro sempre vivo

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Il legame “eretico” tra il maestro napoletano e due grandi sperimentatori italiani del secondo Novecento: Carmelo Bene e Leo de Berardinis

 

Nonostante siano passati trent’anni dalla morte di Eduardo De Filippo, non deve risultar “strano” se, ciclicamente, il maestro napoletano torna negli autori della nostra contemporaneità. Come non deve risultar “strano” che l’opera di Eduardo è, anche, “ereticamente” legata a due grandi sperimentatori italiani del secondo Novecento: Carmelo Bene e Leo de Berardinis.

 

Due modalità. Due opzioni stilistiche. Due grandi “anomali”. Due “ragionamenti” differenti eppure voracemente “attratti” dal grande attore e drammaturgo napoletano.

Ma proviamo, in estrema sintesi, a coglierla la “presenza” eduardiana in Carmelo Bene e Leo de Berardinis.

 

Per Carmelo Bene guardare l’opera (e l’uomo) Eduardo in qualche modo significa stringere un patto verso le “fondamenta” del teatro. Significa ricomporre il dna costitutivo del teatro. I primi incontri tra i due avvengono all’alba degli anni Sessanta. E nel 1970 Eduardo doveva – udite udite – essere addirittura interprete di un “Don Chisciotte” diretto dallo stesso Bene, con Popov nelle vesti di Sancho Panza e Salvador Dalí pittore/performer presente in scena. Uno spettacolo-kolossal mai realizzato, ma la sola idea è già luminosamente potente. Nelle pagine di “Vita di Carmelo Bene” di Giancarlo Dotto si ritrova il “surreale” incontro parigino tra il drammaturgo napoletano, l’attore pugliese e il pittore catalano. Il “dialogo” tra Eduardo e Carmelo è profondo, vero, sincero, politico e resta vivo nel tempo. Il ragionare di complicità tra i due si protrarrà fino agli ultimi giorni di vita di Eduardo: tra reciproche ammirazioni, incontri televisivi, talk-conference e lezioni accademiche. Anche se Bene non dirigerà mai uno spettacolo specificamente tratto dall’opera di Eduardo, in più occasioni l’autore di “Sono apparso alla Madonna” omaggerà l’artefice di “Natale in casa Cupiello” (e viceversa). Con Eduardo De Filippo, Bene condividerà anche tantissime battaglie contro il Ministero dello Spettacolo, entrambi accomunati da un concreto desiderio di “agire” e da uno spirito guerriero contro “i pigmei del teatro”.

 

Il discorso, invece, che “avvicina” Eduardo De Filippo a Leo de Berardinis riguarda il lavoro del drammaturgo napoletano. Un “lavoro” che indirettamente troviamo in gran parte delle riscritture sceniche: dalle “origini” shakesperiane con Perla al periodo di Marigliano, dalle cantine a Bologna. Insomma un attraversare Eduardo prendendone stili, forme, costruzioni, modalità espressive, raccordi narrativi, essenzialità scenica, poetica della gestualità, narrazioni ed espedienti linguistici. Spesso “compare” Eduardo che con Totò rappresenta una sorta di asse portante della scrittura scenica di Leo de Berardinis.

 

Con magistrale originalità e vena eretica, di cui sopra, Leo si “appropria” ciclicamente di Eduardo. Lo omaggia, lo evoca, lo celebra, lo contamina, lo decostruisce. Un continuo dichiarare il proprio amore verso Eduardo. Il tutto poi si compatta nella bellezza totale di “Ha da passa’ ‘a nuttata”. Magistrale azione performativa del 1989 realizzata da Leo in collaborazione con i “Teatri Uniti” e il “Festival dei due mondi di Spoleto”. Un’opera-summa dove ritroviamo frammenti e stralci (amalgamati e contrapposti, sporcati e reinventati) tratti da quattro opere eduardiane. Leo (tra gli altri, in scena assieme ad un sempre grande Antonio Neiwiller e a un giovane Toni Servillo) volle definire questo “viaggio” eduardiano come una vera e propria «esplorazione del grande teatro di Eduardo, riferimento per me importantissimo». Un viaggio che fu un trionfo di critica e pubblico: Vincitore del Premio UBU (“miglior spettacolo dell’anno”), Premio IDI (“miglior attore protagonista”) e finanche l’Associazione Nazionale dei critici premia alla carriera Leo de Berardinis. Un “viaggio” da intendersi anche come una tappa centrale per comprendere il valore della commedia nell’opera di Leo de Berardinis. Infatti, l’omaggio eduardiano del 1989 assieme a “Totò principe di Danimarca” (1990) e a “Il ritorno di Scaramouche” (1994) indica una meravigliosa trilogia della commedia in chiave densamente innovativa.