La riforma Monti/Fornero ha avuto il grande merito di affrontare un argomento tabù – quell’articolo 18 tanto caro ai sindacati – introducendo alcuni elementi che, nella vecchia bozza di legge Ichino, vengono definiti flexsecurity per ridurre la scandalosa apartheid in cui versano 12 milioni tra lavoratori dipendenti di piccole imprese, precari e “partite IVA” su carta, ma lavoratori dipendenti di fatto.
Offrendo qualche protezione in più per alcuni precari ed estendendo il sussidio di disoccupazione ad alcune categorie deboli di lavoratori, la riforma aumenta i costi fiscali e contributivi del precariato, “combattendo” il fenomeno delle finte partite IVA e rendendo più gravosi la stipula di contratti a progetto e co-co-co, oltre ad aumentare il potere discrezionale del giudice nella scelta tra indennizzo e riassunzione.
I LIMITI DELLA RIFORMA
Come già sostenuto da un’ampia platea di economisti, l’incisività dei nuovi ammortizzatori sociali è piuttosto scarsa: la cassa integrazione, a spese delle aziende e non dello Stato, è discriminatoria e inefficiente. La riforma avrebbe dovuto eliminare del tutto la cassa integrazione straordinaria e destinare le risorse ottenute all’istituzione di un sussidio di disoccupazione valido per tutti.
Come ben sottolineato dagli economisti de lavoce.info, nonostante la recessione, soltanto la cassa integrazione non conosce declino:
Si noti come le ore non si siano ridotte dopo la recessione del 2008-2009, nonostante le ore di Cig ordinarie siano calate in virtù della crescita delle ore di Cigs e della Cig in deroga, ulteriore strumento per gestire riduzioni di orari di lavoro.
La riforma degli ammortizzatori avrebbe dovuto riordinare questi istituti, sviluppando soprattutto la Cig ordinaria che ha dimostrato di funzionare meglio. Invece rimarranno in piedi sia la Cassa integrazione straordinaria, sia quella in deroga, sebbene sotto altre spoglie.
Un indizio consistente è dato dall’andamento del tasso di utilizzo delle ore di cassa integrazione autorizzate – il cosiddetto “tiraggio” – che è diminuito costantemente su base nazionale dal 2008 a oggi.
LA PROPOSTA DI TITO BOERI: SUSSIDIO DI DISOCCUPAZIONE + REDDITO MINIMO GARANTITO
Il nostro Paese ha bisogno di un sistema moderno di ammortizzatori sociali basato su regole uguali per tutti. Ci vuole un sistema unico di sussidi di disoccupazione. Accessibile a tutti i lavoratori dipendenti che perdono il posto di lavoro, indipendentemente dalle dimensioni dell’impresa o del settore in cui operano. Questo sistema dovrebbe sostituire tutti gli strumenti
attuali di sostegno al reddito per i disoccupati (cassa integrazione, mobilità, sussidi ordinari), che potranno comunque continuare a esistere se supportati da schemi assicurativi a contribuzione volontaria, autofinanziati dalle imprese e dai lavoratori.
Un’altra rivoluzione, contestuale al sussidio unico di disoccupazione, sarebbe l’introduzione del reddito minimo garantito, uno strumento efficace per contrastare la povertà tra i lavoratori che hanno carriere discontinue o che sono senza lavoro da molto tempo. Ma anche per gli anziani poveri, i disabili e per chi li assiste, o per genitori soli che hanno figli a carico.
Come nel caso del contratto unico e del sussidio unico di disoccupazione, l’ambizione è quella di semplificare la miriade di strumenti di sostegno esistenti introducendo un programma universale e selettivo allo stesso tempo, cioè basato su regole uguali per tutti e non limitato ad alcune categorie, come è oggi.
La concessione del sussidio dovrebbe ovviamente essere subordinata al reddito e al patrimonio dei percettori. Il reddito minimo garantito sostituirebbe quindi le pensioni sociali, le integrazioni al minimo, e tutte le indennità civili, come l’assegno di assistenza, l’indennità di frequenza minori, le pensioni di inabilità e l’indennità di accompagnamento. Inoltre rimpiazzerebbe l’assistenza sociale e i programmi per disabili a carattere non contributivo.