Un po’ di misura e di buon senso – dalla giusta angolazione, ovvio – non guasta neanche in questo caso
Ha contagiato tutti. Dai primi ministri a Barbara D’Urso. Dalle star candidate agli Oscar agli alti prelati. Il selfie, vizio e virtù trasversale, ha un suo bon ton e guai a starne alla larga. Mai chiamarlo autoscatto, guai a non postarne uno con la stessa frequenza con la quale ci si cambia d’abito per non inflazionare gli aggiornamenti in bacheca.
Ma, soprattutto, guai ad arrendersi al primo round: c’è sempre una bocca che arricciata si mangia le prime rughe di espressione, un occhio che può uscire più languido, e se si becca l’angolo giusto siamo certi che nemmeno Avedon sarebbe stato in grado immortalarci in un’espressione migliore rispetto a quella che otteniamo da soli dopo ore e ore davanti allo specchio o al cellulare.
Secondo me il galateo non sempre deve dare verità assolute, o dettami talebani sul savoir faire: già saremmo felici, noi amanti della buona creanza, se dopo una minima riflessione le persone si ponessero i quesiti giusti. L’esperienza insegna che se ci facciamo le domande giuste, la risposta non è molto distante.
Contate fino a dieci, quindi, trattenete il respiro, e selfie sia!
Ma veniamo alle domande.
Domanda uno: sarà che forse ai miei tempi chiudersi in bagno per farsi un selfie aveva tutto un altro significato, ma mi domando cosa ci sia di meno sexy di una posa sinuosa o virile con una tazza con la tavoletta alzata sullo sfondo o con le ciabatte da camera poste ad asciugare sul termosifone che non abbiamo omesso dall’inquadratura.
Domanda due: che ne pensate dell’accostamento asciugamano in vita, stendibiancheria sul lato? Tanta la cura per sistemare gli angoli della bocca, tanta la sciatteria nell’aprire le porte al mondo su un’esistenza che non prevede locali lavanderia fuori dal salotto buono.
Domanda tre: che cos’è che ci consente di dormire con la testa miracolosamente appoggiata sul cuscino dove i capelli non fanno una piega e ci rende autonomo il braccio sinistro per scattare una foto
durante il sonno? Belen Rodriguez in questo merita la cintura nera.
E in buona sostanza: se è un selfie, l’aria distratta da star paparazzata, una volta ci sta, ma siamo credibili se ogni volta sgraniamo gli occhi come fossimo stati colti da un’entità autonoma che si impossessa del nostro cellulare per beccarci proprio quando non ce l’aspettiamo? Le regole auree stanno dunque scritte tra le righe.
E anche se, come nella gran parte dei casi, è il buon senso a dare le risposte, basta guardarsi e vedere non se, ma quante volte nel nostro archivio siamo finiti con le mani in alto e il cellulare puntato per cedere alla tentazione: chi è senza peccato scagli la prima pietra.
Una pietra a parte, meriterebbero i tag che talvolta sfiorano la follia più totale: fotografarci e scrivere #me, #io, #myself, #selfie forse è un modo per ricordare a noi stessi, fotografo e soggetto al contempo, chi siamo?
Può sembrare paradossale, ma forse per chi soffre di crisi d’identità, aiuta.