Giovannini, ASVIS: «Creare ora un sistema socioeconomico più resiliente e sostenibile»

Vulnerabilità e fragilità a lungo trascurate che pandemia e lockdown hanno prepotentemente svelato. Il portavoce dell’ASVIS avverte: «Oggi sappiamo bene cosa potrebbe capitarci in futuro, ad esempio a causa della crisi climatica, ma alcuni pensano sia possibile andare avanti con soluzioni che appartengono al secolo scorso. Bisogna trasformare la ripartenza in un’opportunità per cambiare l’attuale modello di sviluppo, per non ritornare semplicemente al punto dove eravamo prima della crisi»

 

Nel post pandemia quale strada prenderemo? Passato o futuro, transizione ecologica o difesa strenua di interessi economici ed energetici sempre puntati sulla carbonizzazione?

Difficile dirlo in questo momento, il rischio di commettere gli errori del passato c’è e va scongiurato. Mi spiego- Alcuni sostengono che per ripartire occorre accantonare il Green deal voluto dalla Commissione europea e sostenuto anche dal nostro Governo, ma non ci sarebbe niente di più sbagliato. Viviamo in un mondo dove gli choc saranno sempre più frequenti, dobbiamo dunque creare un sistema socioeconomico meno fragile, più resiliente e sostenibile, in grado di ridurre il rischio della loro insorgenza. In questa prospettiva, l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e i suoi 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile rappresentano ancora una volta la strada da seguire per creare un mondo più giusto, equo e inclusivo.

Questa sarebbe la via necessaria?

Solo tre mesi fa si discuteva dell’urgenza di mettere in atto misure a tutela del benessere collettivo, in grado di mitigare i grandi problemi del nostro tempo, come il cambiamento climatico. La Bei, la Banca europei degli investimenti, ha deciso di sospendere dal 2021 qualsiasi finanziamento ad attività legate ai combustibili fossili, anche la Bce è orientata su questa strada, mentre la Commissione europea non solo punta a far divenire l’Europa la prima regione a emissioni zero al mondo entro il 2050, ma ha dato mandato ai suoi Commissari di attuare l’Agenda 2030. È questa la via necessaria e conveniente, anche da un punto di vista economico. Il coronavirus non ha cancellato i problemi che siamo costretti ad affrontare, anzi ha reso evidente l’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo. Per questo motivo la ripartenza deve essere l’occasione per cambiare il paradigma su cui esso si basa. I fondi che l’Italia ha messo in campo, più quelli che arriveranno dall’Unione, devono essere orientati verso i comparti maggiormente virtuosi della nostra economia per aiutare le imprese a modificare il modo in cui vengono prodotti beni e servizi. Il tutto tenendo ben presente il principio della “giusta transizione”, in modo da tutelare al massimo i lavoratori. Da questa situazione dobbiamo uscirne tutti vincitori. Bisogna trasformare la ripartenza in un’opportunità, per non ritornare semplicemente al punto dove eravamo prima della crisi.

C’è qualcosa che abbiamo sbagliato – come Paese e come mondo – ancor prima che tutto questo ci travolgesse? 

La pandemia e il successivo lockdown deciso dai governi ci hanno ricordato quanto il sistema socioeconomico sia vulnerabile. Per anni abbiamo fatto finta di nulla, nonostante le tante voci che indicavano la sua fragilità. Per esempio, da tempo la comunità scientifica ci aveva avvisato dei rischi crescenti di spillover, cioè del salto di specie compiuto da un virus, a causa della distruzione degli ecosistemi e della promiscuità tra ambienti urbanizzati e ambiente naturale. Mi pare evidente che non l’abbiamo ascoltata, siamo arrivati impreparati e ora ci troviamo in una crisi ben più grave di quella del 2008. È questo l’errore di fondo: oggi sappiamo bene cosa potrebbe capitarci in futuro, ad esempio a causa della crisi climatica, ma alcuni pensano sia possibile andare avanti con soluzioni che appartengono ormai al secolo scorso. Dobbiamo capire che per fronteggiare queste emergenze abbiamo bisogno di creare un sistema più resiliente e sostenibile, altrimenti rischiamo di uscire da una crisi per entrare in un’altra.

I livelli occupazionali potrebbero subire un ulteriore calo, ma per alcuni l’occupazione è una condizione necessaria ma non sufficiente per determinare una significativa riduzione del rischio di povertà. Oggi, specie dopo il coronavirus, anche chi tornerà a lavoro potrebbe essere povero…

È vero, non solo chi non possiede un lavoro, ma spesso anche chi risulta occupato è povero o è a rischio povertà. E se non interveniamo in maniera tempestiva e adeguata il coronavirus potrebbe esacerbare ancor di più questa condizione. Da una parte dobbiamo quindi utilizzare i fondi per sostenere il più possibile queste persone, ma, dall’altra, occorre anche orientarli per creare nuovi posti di lavoro. Per questo abbiamo proposto l’istituzione del Reddito di emergenza, proposta fatta propria dal Governo, ma anche l’orientamento degli investimenti a favore del Green New Deal. Economia circolare, fonti rinnovabili e in generale l’economia verde offrono la possibilità di creare molti nuovi posti di lavoro rispettando al tempo stesso l’ambiente. Inoltre, la via della sostenibilità risulta sempre più vantaggiosa anche per le imprese. Secondo uno studio dell’Istat, a parità di condizioni, investire in sostenibilità si traduce in un aumento di produttività del 15% per le aziende di grandissime dimensioni, del 10% per quelle grandi e del 5% per quelle medie.

Lei più volte ha ribadito che l’educazione è la chiave per il progresso socio-economico e la riduzione della povertà a livello locale e globale. Eppure, anche questa crisi ha mostrato quanto profonda sia la relazione tra povertà materiale e povertà educativa: come si cambia e, soprattutto, cambieremo?

L’educazione è alla base di una società che intende creare un sistema più sostenibile e abbiamo bisogno di individui che diventino agenti del cambiamento, in grado di fare scelte giuste per la società e per l’ambiente. Con il mondo che cambia velocemente anche agli adulti deve essere garantita una formazione continua, favorendo l’accesso e la gestione consapevole della tecnologia, del digitale e dell’informazione. Purtroppo, in questi giorni, diversi sono stati i problemi in tal senso, basti pensare ai bambini e ai ragazzi che non hanno potuto beneficiare della didattica a distanza, che spesso sono proprio quelli che fanno parte delle famiglie più in difficoltà e su cui bisogna intervenire. Inoltre, il Paese ha bisogno di un grande investimento sull’infrastruttura digitale. Su quest’aspetto, centrale per le aziende perché elemento di competitività, siamo in ritardo rispetto ai grandi Paesi europei.