Tra tagli, sprechi e aggregazioni: Ottavio Coriglioni, Presidente del Gruppo Sanità di Confindustria Salerno, fa il punto sullo stato di salute di un comparto interessato da vecchi problemi e nuovi cambiamenti
Presidente Coriglioni, la Sanità in Campania è commissariata da quattro anni nonostante i bilanci siano ritornati in attivo. Quali sono, allora, i problemi non ancora risolti?
Il pareggio di bilancio in Sanità è stato raggiunto nel 2013, ma – ad onor del vero – il risanamento è stato conseguito non per una reale razionalizzazione della spesa, ma grazie ai sacrifici di cittadini e imprese. Sacrifici che si sono tradotti in limitazioni delle prestazioni erogabili – a Salerno e provincia per il terzo anno consecutivo non ne sono state più prestazioni dai mesi di settembre/ottobre – cui si è poi aggiunta l’introduzione dei ticket, senza contare le addizionali delle imposte e delle accise che gravano sulle imprese.
I ticket successivamente sono stati in parte rivisti al ribasso, ma al contempo ne sono stati introdotti di nuovi. Per alcune prestazioni “ospedaliere” – oggi classificate ambulatoriali – è necessario, infatti, pagare un ticket, prima non previsto. A mio avviso, quindi, dei problemi strutturali della Sanità nella nostra regione non solo non ne è stato risolto alcuno, ma non lo si è nemmeno affrontato. Basti vedere le classifiche nazionali delle scorse settimane per gli indicatori dei Livelli Essenziali di Assistenza per il 2013 che ci vedono agli ultimi posti con un punteggio inferiore a 130, soglia sotto la quale si è considerati inadempienti. Noi stessi abbiamo consegnato al Commissario Caldoro il dossier di Confindustria sulle “Realtà Regionali della Sanità sui dati 2012/2013” che, tenuto conto degli indicatori per misurare competitività, attrattività e grado di sviluppo socioeconomico correlato, riprova come la nostra regione sia sempre agli ultimi posti. Tali evidenze, oltre a certificare l’inefficacia del sistema, legittimano quasi certamente, che, nonostante il pareggio di bilancio, continueremo ad essere commissariati.
Ma gli sprechi della spesa pubblica sono stati sanati?
Come dicevo, poco o nulla si è fatto per affrontare gli sprechi. I bilanci parlano chiaro, a fronte di un taglio lineare del 2.4% nell’assistenza erogata da strutture a capitale privato, solo lo 0.6% è il contenimento della spesa per le strutture a capitale pubblico.
Le strutture ospedaliere a capitale pubblico creano un buco tra prestazioni erogate e risorse impiegate di circa 1 miliardo e 500 milioni di euro l’anno. Questo dato sembra non preoccupare nessuno, anzi questo malinteso senso di difesa della cosa pubblica che vediamo nei funzionari e, talvolta, nel giudice amministrativo, finisce per alimentare l’inefficienza e lo spreco.
Qual è il suo giudizio sulla riforma del sistema territoriale di cure?
Il sistema territoriale delle cure, almeno quello prospettato dal Decreto “Balduzzi”, ha risvolti interessanti ma anche qui la Campania è impreparata. Al riguardo non è stato fatto un serio studio sui fabbisogni della popolazione, il cardine di qualsiasi scelta programmatica. Ciò che è certo è che la nostra regione è assolutamente carente per l’assistenza territoriale di primo impatto, così come per la continuità assistenziale post ricovero.
Passiamo al suo comparto: la Sanità Privata non gode ottima salute specie a causa dei tanti tagli subiti. La prospettiva per questo anno e per l’immediato futuro è più incoraggiante o il quadro resta opaco per le aziende?
È dal Governo Monti che il comparto della Sanità Privata continua a subire tagli lineari. A ciò va aggiunto che la Struttura Commissariale non ha difeso le imprese del nostro settore limitandosi ad applicare i tagli senza intervenire sulle strutture a capitale pubblico che, come detto, creano ogni anno, tra prestazioni erogate e risorse impiegate, un buco di oltre 1,5 miliardi di euro. Abbiamo più volte affermato che oggi fare i conti per misurare l’efficienza delle strutture sanitarie è relativamente semplice: basta verificare la produttività delle imprese rispetto ai costi sostenuti. Procedura purtroppo non seguita, seppure prevista dalla normativa vigente (D.Lgs. 502 e seguenti, ivi compresa la riforma “Bindi”). Ci si occupa solo di assunzioni, che sembrano essere l’unico vero problema della nostra sanità. È chiaro che le assunzioni sono importanti, ma calate in un sistema non ordinato, rischiano di produrre l’effetto inverso, non sono la panacea di tutti i mali, quando ad esempio abbiamo scelto di essere la regione con il minor numero di posti letto per 1000 abitanti.
Avere più assunti non significa far crescere i letti e diminuire le barelle, o diminuire i tempi di attesa o i viaggi in altre regioni per cui spendiamo circa 300 milioni di euro l’anno o contenere i ricoveri ospedalieri.
L’offerta di prestazioni sanitarie è quindi sottodimensionata rispetto al reale fabbisogno. Come si risolve questo nodo?
Al di là di quanto già detto, parte del problema è culturale. Spesso si ha l’idea che in strutture a nord della Campania ci sia maggiore efficienza e, quindi, maggiori garanzie per il paziente, ma non è detto che sia così. É necessario, quindi, fornire informazioni all’utenza dando notizie corrette sulle attività di assistenza e cura, sui percorsi assistenziali che le nostre strutture – sia a capitale pubblico che privato – sono in condizione di erogare, facendo anche rete tra di loro per fornire la migliore assistenza possibile, non solo in senso verticale ma anche orizzontale.
Questione pagamenti: il ritardo della pubblica amministrazione è stato recuperato? Qual è ad oggi l’andamento?
Effettivamente la questione pagamenti è di molto migliorata. La nostra ASL ormai dal 2011 ha pagamenti regolari e l’attuale dirigenza prosegue su questa strada. Nello scorso anno è stato possibile addirittura ricevere cifre relative ad anni pregressi, grazie ad una transazione con la ASL in cui abbiamo rinunciato ad alcune spese a fronte però di un regolare pagamento. Alcune partite invero sono tuttora aperte, spesso assistite da decreti ingiuntivi anche se non esecutivi. Più volte abbiamo proposto alla struttura commissariale di avviare una trattativa per chiudere in modo “tombale” tutto il pregresso ancora non pagato e determinato da contenziosi vari riportandoli all’anno zero per ripartire con i conti “puliti”. Sino ad oggi non si è avuta però alcuna svolta positiva in tal senso. La Regione ha accantonato in bilancio delle cifre per il contenzioso ma noi riteniamo che il valore del non pagato sia inferiore all’accantonato. Pertanto un accordo tombale equivarrebbe a rendere disponibili, liberandole, ulteriori risorse. Risorse aggiuntive, inoltre, potrebbero essere ricavate dalla vendita degli immobili non strumentali delle ASL che probabilmente generano più problemi che introiti. La ex ASL Salerno2, ad esempio, possiede più di 50 appartamenti a Napoli.
Tariffe: quali sono le richieste e le proposte sul tema per l’ente regionale?
Relativamente alle tariffe, la proposta è semplice: dato che tutti i comparti soffrono per la revisione delle tariffe, seppur per motivazioni diverse, noi vorremmo che le stesse rispettassero i costi. Ci rendiamo conto di quanto affermato dal Consiglio di Stato che il momento è difficile e bisogna contenere la spesa, ma è anche vero che lo stesso Consiglio ritiene le tariffe eccessivamente basse. Fa rabbia che le strutture a capitale pubblico siano pagate a piè di lista senza tenere in alcun conto la loro produttività, mentre noi privati riceviamo solo per ciò che realmente produciamo. Almeno le tariffe per la spedalità potrebbero essere uguali a quelle per gli ospedali mentre per quelle della riabilitazione, in questi giorni, si stanno definendo accordi con la Struttura Commissariale. Purtroppo per le tariffe per i laboratori al momento tra accorpamenti ed altro si deve solo attendere la decisione ministeriale.
I piccoli laboratori, per norma, così come le case di cura al di sotto dei 60 posti letto, saranno obbligati entro un anno – al massimo due – ad aggregarsi per restare in vita. Le aziende a suo avviso sono preparate a questo decisivo cambiamento? Quali saranno gli effetti più evidenti di questa diversa modalità anzitutto tecnico-organizzativa?
A mio avviso non siamo affatto preparati e questa è una responsabilità grave delle nostre strutture che non hanno voluto tenere in conto una tendenza già da tempo adottata in Europa. Per il pubblico-utente non vi saranno particolari cambiamenti, anzi c’è da aspettarsi un miglioramento qualitativo; per i piccoli laboratori invece le aggregazioni saranno dolorose e molto personale qualificato, in prevalenza biologi, perderà il lavoro. Questa piccola rivoluzione lascerà non pochi strascichi anche perché non dobbiamo dimenticare che solo tre mesi fa questi stessi laboratori hanno avuto l’accreditamento definitivo, per ottemperare al quale i titolari hanno investito soldi e risorse che avrebbero potuto destinare ad altro se l’accreditamento avesse tenuto conto dell’aggregazione forzata. Stesso discorso vale per le case di cura al di sotto dei 60 posti letto, con l’aggravante che da un punto di vista tecnico è molto più complesso aggregare strutture di ricovero che sono legate al posto letto che non è sostituibile di certo con una risorsa tecnologica. Sarebbe auspicabile, anzi necessario, aprire un dialogo programmatico tra Istituzioni Regionali, forze sociali ed operatori del settore per la qualità e l’efficienza delle prestazioni indispensabili sul territorio, e farlo in tempi brevi per garantire un servizio sanitario regionale di livello europeo. La sanità può essere un valido volano per l’economia regionale.