«Un euro investito nel settore culturale assicura un aumento del valore aggiunto di 1,7 euro con evidenti vantaggi sulla crescita della domanda aggregata e di entrate per lo Stato». Per Luciano Monti, docente di Politiche dell’Unione Europea della LUISS, l’economia della cultura facilita anche l’internazionalizzazione
A margine della 45° edizione del GFF, rassegna cinematografica dedicata ai ragazzi conclusasi il 26 luglio scorso a Giffoni Valle Piana, abbiamo incontrato Luciano Monti cui abbiamo chiesto cifre e prospettive dell’economia della cultura.
Professore, quanto conta l’asset cultura nell’economia del nostro Paese?
Per il suo crescente contributo alla ripresa e al miglioramento degli scambi commerciali, l’economia della cultura meriterebbe sempre più attenzione da parte di politici e amministratori sia a livello locale, che nazionale ed europeo. A livello nazionale i numeri più recenti parlano chiaro: il settore culturale in Italia conta 443.208 imprese che impiegano più di 1,4 milioni di addetti e un valore aggiunto all’economia, per il 2014, di poco meno di 80 miliardi di euro, prodotto per la quasi totalità dalle imprese culturali e da quelle creative.
Tra le prime si annoverano le industrie dell’editoria, musica, cinema, radio televisione, videogiochi mentre tra le seconde l’architettura, il design e la comunicazione. In particolare, nel 2014, 8,5 miliardi sono stati prodotti dall’industria cinematografica, media, radio e TV nostrane, mentre 13 miliardi dai produttori di videogiochi e altri software di intrattenimento. Ma non sono solo questi numeri ad attirare l’attenzione sul settore, bensì anche l’effetto moltiplicatore che fa sì che un euro investito nel settore culturale assicuri un aumento del valore aggiunto di 1,7 euro con evidenti vantaggi quindi sulla crescita della domanda aggregata e anche delle entrate per lo Stato. A questi benefici sulla economia nazionale e locale, vanno anche aggiunti quelli indotti in altri settori, come quello turistico, che beneficia del cosiddetto fenomeno dell’attrazione culturale. Il patrimonio culturale e artistico, ma anche enogastronomico del nostro Paese, viene reso fruibile e comunicato all’esterno anche grazie all’attività di valorizzazione che di esse fa l’industria cinematografica.
E a livello europeo? Qual è l’orientamento?
A livello europeo, oggetto di approfondimento nel summit internazionale tra produttori cinematografici tenutosi nel quadro delle iniziative del GFF 2015 – cui ho partecipato, oltre al programma di Europa Creativa, cui è affidato il compito di potenziare l’audience per i settori culturali e creativi, un recente rapporto presentato al Parlamento Europeo nell’aprile di quest’anno (Rapporto WENTA) auspica un maggiore sostegno alla promozione e distribuzione di prodotti cinematografici all’interno e al di fuori dell’UE, grazie a un migliore bilanciamento dei finanziamenti pubblici al settore e ai programmi di alfabetizzazione cinematografica e mediatica in tutti i livelli della istituzione scolastica. Obiettivi che devono essere perseguiti tenendo alta l’attenzione anche sull’implementazione della agenda digitale europea e alla estensione della banda larga, riducendo le sacche, ancora presenti nel nostro Paese del digital divide.
Infine, una recente iniziativa della Commissione Europea nel quadro della Politica di Vicinato (ENP), volta a sostenere lo scambio culturale come processo di miglioramento delle relazioni diplomatiche e commerciali con i paesi vicini all’Unione Europea (16 paesi), ha dimostrato come gli ambiti e le prospettive di collaborazione siano molto ampie. Una conferma dal summit al Giffoni Film Festival 2015, al quale hanno partecipato delegazioni di produttori cinematografici provenienti da una ventina di paesi dell’Africa, dei Balcani, del Medio ed Estremo Oriente