In digestione anaerobica il contenuto energetico della matrice organica è prima convertito nel biocombustibile per mezzo della flora batterica e poi in energia elettrica e termica.
La direttiva 2001/77/CE, concernente l’incentivazione della produzione di energia da biomasse, definisce la biomassa come: «la parte biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali) e dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani».
La digestione anaerobica è un processo biologico complesso che, in assenza di ossigeno, trasforma la sostanza organica in un gas (“biogas”) costituito principalmente da metano e anidride carbonica. La percentuale di metano nel biogas varia, in funzione del tipo di sostanza organica digerita e delle condizioni di processo, da un minimo del 40% fino all’80% circa.
In digestione anaerobica il contenuto energetico della matrice organica è prima convertito nel biocombustibile per mezzo della flora batterica e poi in energia elettrica (EE) e termica (ET). Da 1 kWh teoricamente disponibile nella sostanza organica si ottengono 0,5-0,8 kWh come metano (rendimento di conversione biologica) e 0,12-0,32 kWh come EE + ET (rendimento di conversione meccanica).
Le biomasse di scarto potenzialmente destinabili alla produzione di biogas mediante digestione anaerobica provengono dai seguenti settori: agricoltura (produzioni vegetali e animali), effluenti zootecnici, residui delle coltivazioni; industria delle conserve animali-macellazione, produzione insaccati, sottoprodotti di origine animale; preparazione vegetali per il mercato del consumo fresco, cernita e sfridi di pulitura; industria delle conserve vegetali, trasformazione ortaggi e frutta, trasformazione olive, uva e agrumi, buccette di pomodoro, scarti di frutta, sanse di oliva, vinacce, e altri ancora.
Per calcolare la quantità di biogas – e, quindi, di metano – teoricamente producibile da una biomassa occorre considerare parametri quali i solidi totali (ST), cioè i solidi che residuano dopo evaporazione del campione a 105 °C (espressi come percentuale del peso tal quale), e i solidi volatili (SV), cioè i solidi che volatilizzano quando il residuo a 105°C viene portato a 550°C (espressi come percentuale di ST). Il punto di partenza è il calcolo delle tonnellate di SV disponibili: si ottengono moltiplicando le tonnellate di biomassa disponibile per ST(%) e per SV(%ST). Il risultato del prodotto (tonnellate di SV) va moltiplicato per la resa in biogas (metri cubi di biogas/ton di SV) per arrivare ai metri cubi di biogas. Di questi solo una parte è costituita da metano (40-80%).
Si consideri, ad esempio, il liquame suino come biomassa. Per esso si possono adottare un valore di ST pari a 5,35% e di SV pari a 76,12 %ST. Da 1 ton di liquame suino, pertanto, si ottengono 40,7 kg di SV, che per una resa di 500 metri cubi di biogas per ton di SV alimentati in digestione anaerobica, corrispondono a 20,4 metri cubi di biogas.
I processi di digestione anaerobica sono solitamente classificati rispetto a cinque variabili principali: il regime termico; il contenuto di solidi totali nel substrato; le fasi biologiche; il tipo di alimentazione del reattore; le modalità di movimentazione del substrato (tipo di reattore).
Per quanto attiene, ad esempio, al regime termico, tipicamente si fa riferimento alla mesofilia (35-37 °C) e alla termofilia (55 °C e oltre). Per quanto riguarda, invece, il contenuto di solidi totali (ST) del substrato in fase di digestione nel reattore, si distinguono tre tipi di processi di digestione: a umido (wet) (ST = 5-10%); a semisecco (semi-dry) (ST = 10-20%); a secco (dry) (ST ≥ 20%). Si parla di processo monostadio quando le fasi di idrolisi, fermentazione acida e metanigena avvengono contemporaneamente in un unico reattore; si parla, invece, di processo bistadio quando il substrato organico è idrolizzato e contemporaneamente avviene la fase acida in un primo stadio, mentre la fase metanigena si svolge in un secondo stadio. L’alimentazione del reattore può essere continua o discontinua. Infine, la movimentazione del substrato può essere ricondotta a un reattore continuamente miscelato (CSTR, Continuos flow Stirred Tank Reactor) o a un reattore con flusso a pistone (PFR, Plug Flow Reactor).
Come già accennato, il prodotto principale del processo di digestione anaerobica è il biogas. Il sottoprodotto secondario è il residuo della biomassa, a conclusione del processo di digestione anaerobica, il cosiddetto “digestato”. Si tratta di un materiale semitrasformato palabile o pompabile. Il digestato in uscita dal processo anaerobico può essere direttamente applicato in agricoltura in maniera controllata, secondo i dettami della normativa che disciplina l’applicazione dei fanghi in agricoltura (D.Lgs. 99/92 e successive modifiche e integrazioni). Esso, infatti, va inquadrato e, pertanto, gestito come un fango. Il problema principale dell’applicazione diretta del digestato in agricoltura deriva dal fatto che esso ha un potenziale fitotossico ancora relativamente elevato, a causa della presenza di ammoniaca e della natura ancora relativamente fermentescibile della sostanza organica residua. Le principali applicazioni del digestato, pertanto, sono quelle in pieno campo, da attuare secondo i meccanismi dello spandimento controllato, previsti dalla normativa (autorizzazione al sito d’impiego, analisi del suolo pre- e post- applicazione, contingentamento delle dosi applicabili, ecc.). Il digestato può essere sottoposto a una fase di spremitura e di separazione di una parte eminentemente solida, da avviare al processo di compostaggio, da una parte eminentemente liquida, da avviare a un impianto di depurazione di acque reflue e/o da inviare all’impianto di compostaggio, dove può essere sfruttata come acqua di processo. Il digestato sottoposto a post-compostaggio può trovare spazi di applicazione in giardinaggio, vivaistica in vaso e in terra, nella semina di prati, ecc. e, inoltre, può essere liberamente impiegato e commercializzato come “ammendante compostato” sulla base del disposto della normativa sui fertilizzanti.
Le tipologie impiantistiche di digestori anaerobici si distinguono in funzione delle seguenti variabili principali: regolarità dell’alimentazione; contenuto in solidi; specializzazione dei fermentatori nelle diverse fasi di digestione; livello della temperatura. La scelta della tipologia impiantistica deve partire da un’attenta analisi delle caratteristiche della biomassa che s’intende utilizzare con prevalenza.
Le principali componenti dell’impianto sono il digestore, l’alimentazione, i pretrattamenti, la miscelazione, il riscaldamento, il gasometro (stoccaggio temporaneo del biogas), i sistemi di controllo. Per il digestore, in particolare, si possono adottare soluzioni costruttive in getto di calcestruzzo in opera, con manufatti prefabbricati o in acciaio.
Le principali biomasse disponibili in Campania per la produzione di biogas da digestione anaerobica sono le deiezioni animali provenienti da allevamenti zootecnici, i residui di lavorazione del settore lattiero caseario, gli scarti agroindustriali del settore conserviero, i residui di lavorazione dei frantoi, gli scarti inutilizzati dei foraggi insilati e gli scarti ortofrutticoli.
Nel 2011, l’INEA (Istituto Nazionale di Economia Agraria) ha dato alle stampe uno studio dal titolo “Biomasse e agroenergia. Un modello di governance regionale attraverso l’analisi del caso Campania (a cura di R. Ciaravino e V. Sequino). Dall’interessante pubblicazione è possibile dedurre che sul territorio regionale campano si stima una producibilità annua di biogas di: circa 150 milioni di metri cubi da reflui (di cui il 51% è relativo a reflui bufalini, il 42% a reflui bovini e il 7% a reflui suini); oltre 600.000 metri cubi da siero di latte di bufala; oltre 4 milioni di metri cubi da buccette di pomodoro; quasi 8 milioni di metri cubi da sansa vergine; circa 200.000 metri cubi da scarti vegetali mercatali.