Cassazione, cosa rischia il lavoratore improduttivo

massimo ambron 108x108Con la sentenza n. 14310/2015 la Suprema Corte ha confermato il licenziamento di un dipendente che ometteva di compilare il “performance dialogue”, oltre ad avere un rendimento decisamente scarso

 

Il dipendente improduttivo rischia il licenziamento: a stabilirlo la recente sentenza n. 14310/2015 della Cassazione.

Questa sentenza assume grande importanza sia per le aziende, sia per i dipendenti specie in considerazione della crisi economica diffusa e delle difficoltà a trovare lavoro, obiettivo ancora più arduo se non si presenta un buon curriculum e delle buone referenze.
La Cassazione, con motivata pronuncia, conferma il licenziamento di un dipendente che ometteva di compilare i moduli richiesti dall’azienda necessari a valutare le attività svolte dai dipendenti nell’anno, il cosiddetto “performance dialogue”.
Oltre a tale motivo, l’azienda gli aveva contestato anche lo scarso rendimento lavorativo e anche per questo, anzi soprattutto per questo, gli era stata comunicata la risoluzione del rapporto di lavoro.

IL FATTO
Il dipendente licenziato era un impiegato assunto a tempo indeterminato e inquadrato nel sesto livello del Contratto Metalmeccanico, addetto alla gestione dei contratti e degli incontri con fornitori e clienti.
L’azienda aveva riscontrato sia che il dipendente non consegnava i moduli necessari alla sua valutazione, sia che le sue attività lavorative non erano conformi agli standard aziendali.
Dopo avere esaminato documentalmente un arco di tempo congruo di oltre 5 mesi, l’azienda gli contestava lo scarso rendimento reiterato.
Le giustificazioni rese non furono accettate dall’azienda, che notificò il licenziamento, impugnato tempestivamente dal dipendente.

In primo grado il Giudice ritenne illegittimo il provvedimento espulsivo, ordinando la reintegrazione.
La Corte di Appello, invece, riformando la sentenza di primo grado, accolse il ricorso promosso dalla Società.
La Corte sostenne, infatti, che lo scarso rendimento era dimostrato per tabulas sia in assoluto, sia per comparazione con quello di colleghi con il medesimo profilo professionale.
La contestazione, inoltre, presentava il requisito della tempestività che, come da giurisprudenza consolidata, doveva rapportarsi al tipo di addebito contestato (lo scarso rendimento) che suppone una osservazione prolungata nel tempo.
Inoltre, la Società non aveva violato il principio di buona fede non segnalando al dipendente le difformità della sua produttività rispetto agli standard, come invece dedotto e accolto dal giudice in primo grado. La Corte ritenne che era fuor di logica farlo, perché la obbligazione fondamentale del rapporto di lavoro è proprio quella di rendere la prestazione lavorativa. Anche la Cassazione ritenne fondate le motivazioni richiamate in sentenza dalla Corte di Appello, respingendo il ricorso promosso dal dipendente. Ad avviso della Suprema Corte la contestazione non fu tardiva, ma tempestiva in relazione al tipo di addebito. Infatti, nel caso specifico l’imprenditore ha necessità di monitorare l’attività del dipendente per un congruo periodo, anche se, giorno per giorno, è al corrente dell’attività svolta dallo stesso. Il monitoraggio di 5 mesi fu ritenuto dalla Suprema Corte congruo e apprezzabile per valutare la violazione dei doveri di diligenza e collaborazione del dipendente e confrontarla con quella degli altri colleghi e con gli standard aziendali. La S.C. ricorda ancora che la contestazione riguarda non un singolo episodio, ma una condotta continuativa protrattasi nel tempo, da considerare unitariamente per valutare la sussistenza dell’inadempienza e la sua gravità nell’ottica di un corretto rapporto sinallagmatico.

Vero è che nel contratto di lavoro subordinato il lavoratore si obbliga alla messa a disposizione delle sue energie e non già alla obbligazione di una opera o servizio, come nel lavoro autonomo, ma laddove oggettivamente siano individuabili parametri per accertare che la prestazione sia eseguita con diligenza e professionalità medie, il discostamento da detti parametri può costituire segno, come nel caso in esame, di mancata esecuzione della prestazione di lavoro richiesta.
La questione trattata suggerisce all’imprenditore che per la tipologia delle attività produttive ha possibilità di predisporre standard di produttività , meglio se con intese sindacali, cui i propri dipendenti debbono attenersi.

Una corretta ed efficiente organizzazione aziendale dovrebbe prevedere comunque immediati interventi gestionali, nel caso si manifesti scarsa produttività del dipendente che, ad avviso di chi scrive, deve essere subito richiamato anche con formale contestazione ai suoi doveri di correttezza, buona fede e collaborazione.
I risultati possono essere di pieno recupero del lavoratore agli standard fissati con conseguente reciproca soddisfazione.
In caso contrario, l’azienda valuterà le conseguenze e provvederà a prendere i relativi provvedimenti, anche di natura espulsiva, come nel caso appena esaminato.