Uno stile di vita attivo è sicuramente indispensabile per ottenere e mantenere un buono stato di salute, ma alcuni sportivi non professionisti possono presentare un rapporto patologico con l’attività sportiva, legato alla sensazione di ebbrezza e di benessere che essa provoca
L’attività fisica fa sicuramente bene; nonostante ciò alcuni sportivi non professionisti possono presentare sintomi tipici della dipendenza che vanno dalla semplice irritabilità, quando non possono praticare il loro sport preferito, fino a comportamenti esasperati che li portano a trascurare sempre più amici e famiglia fino a far diventare il programma di allenamento e il risultato da ottenere, l’obiettivo della loro giornata.
La dipendenza da sport è un fenomeno sottovalutato, poco studiato, ma non per questo meno pericoloso. Secondo alcuni ricercatori il rapporto patologico con l’attività sportiva è legato alla sensazione di ebbrezza e/o di benessere che provoca. In chi pratica sport di resistenza può comparire il cosiddetto Runner’s High ovvero un senso di leggerezza accompagnato dalla convinzione di disporre di forze inesauribili. Qualcuno ha ipotizzato che in questi momenti il nostro cervello potrebbe produrre una quantità maggiore di neurotrasmettitori come le beta endorfine che hanno un potere analgesico ed euforizzante.
Non tutti sono in accordo con questa teoria ed altri sostengono che la dipendenza da attività fisica possa spesso nascondere un disturbo alimentare. Sono stati proposti diversi questionari e auto-questionari per controllare il livello di dipendenza e già una risposta positiva ad una semplice domanda del tipo “Quando non posso allenarmi sono un po’ irritabile e di malumore?” viene considerata indizio di patologia.
Ma è proprio così difficile capire quando lo sport diventa pericoloso? Mi sono posto questa domanda mentre camminavo a passo spedito, almeno per me, sul lungomare della cittadina balneare ove trascorro da quasi venti anni le mie ferie estive. Una quarantina di minuti, al mattino, di un’attività fisica che mi rilassa. E ho cominciato a guardare con occhio critico le persone che incrociavo. Mi sono soffermato con attenzione su quelli dediti alla corsa. Ragazzi atletici, signore di mezza età in perfetta linea, signori con i capelli grigi e l’aria rassegnata. Ogni tanto compariva una figura dalla tipologia ben definita; peso forma perfetto, muscoli scolpiti, calzoncini attillatissimi, scarpette professionali con calzino a scomparsa, volti tirati, quasi sempre occhiali scuri o a specchio. Tutti sudatissimi e dotati di cardiofrequenzimetro, cuffiette, orologio gps da runner. I gesti stereotipati nel guardare l’orologio e l’omologazione delle tenute da corsa mi hanno fatto pensare che sarebbe stato bello poterli sottoporre ad un questionario.
Lo psichiatra Michel Lejoyeux, dell’Ospedale Bichat-Claude-Bernard a Parigi, ha analizzato circa 300 frequentatori di palestre, scoprendo che il 40% di questi manifestava almeno un tratto tipico della dipendenza. Era il 13 agosto 2015 quando su “Il Corriere della Sera” a pagina 49 c’era questo titolo: «Sono gli amatori i veri professionisti del doping». Nell’articolo di Marco Bonarrigo si legge: «Sacro e profano a Chiaramonte Gulfi, nel ragusano, per le celebrazioni del Santissimo Salvatore, dove sabato scorso si è disputata la Coppa Ciclistica Santissimo per amatori, una delle 5mila corse di paese italiane…Nel filmato della questura di Ragusa gli uomini col fratino della Squadra Mobile – accompagnati i ciclisti alle loro auto per una perquisizione – li consegnano poi agli ispettori medici del Ministero della Salute per un prelievo di sangue e urine. L’hanno chiamata «Operazione Finti Atleti», gli investigatori siciliani. Finti soprattutto perché 34 di loro avrebbero acquistato, consumato e ceduto antitumorali, ormoni, Epo di ultima generazione. Roba pesantissima in mano (e in vena) ad amatori dai 35 ai 55 anni, beccati dopo mesi di intercettazioni…». Niente meglio di questo articolo può spiegare perché si deve stare attenti a non cadere nella trappola della dipendenza.