Green e digitale per anticipare il futuro

Andrea Prete, presidente di Unioncamere, sottolinea il cambio di competenze nel mondo del lavoro: «Investire in questi settori equivale a creare occupazione, crescita e inclusione sociale»

 

Presidente, in uno dei dialoghi de Le città invisibili di Calvino si dice che “senza pietre, non c’è arco”. Parafrasando questa citazione, le pietre sono le singole Camere, l’arco l’Associazione nazionale che oggi è chiamato a dirigere. Quali saranno le sue priorità?

Al di là delle priorità operative, il mio impegno sarà diretto a meglio diffondere l’importanza del ruolo svolto dalle Camere di Commercio. Credo, infatti, sia ancora bassa la percezione di quanto le Camere – enti pubblici dotati di autonomia funzionale e raccordo operativo tra governo e imprese – si adoperino per seguire e favorire lo sviluppo delle attività economiche di un territorio che non è mai lo stesso. Ciascuna provincia ha le sue peculiarità e le sue esigenze che le Camere hanno la responsabilità di riconoscere e assecondare. Il sistema camerale è dunque necessario perché le misure varate dall’Esecutivo arrivino alle imprese beneficiarie. Anche in ragione di ciò, va completato il processo di accorpamento che ci ha visti passare dalle 105 alle 73 Camere di oggi (l’obiettivo finale stabilito per legge è 60), affinché la nostra risposta e il nostro sostegno al sistema produttivo sia sempre più rapido ed efficace. Fondamentale poi potrebbe essere il supporto tecnico che la nostra piattaforma Infocamere potrebbe offrire alle imprese. Con più di dieci milioni di dati riferiti a persone fisiche in loro possesso, le Camere di commercio rappresentano il primo terminale della Pubblica Amministrazione con cui le imprese si interfacciano. Da anni svolgiamo un ruolo importante nel supportare le PA nella semplificazione e digitalizzazione dei propri processi amministrativi, ruolo che potrebbe essere esteso e amplificato grazie a una funzionale condivisione dei dati.

Gli indicatori economici migliorano, ma non per tutti i comparti. Per quali di questi il vento comincia a tornare favorevole e per quali altri, invece, la ripresa è ancora lontana?

Tra i settori trainanti senz’altro l’industria che ha continuato a mostrare segnali positivi (valore aggiunto: +1,2%). Infatti, un elemento favorevole per l’economia italiana è rappresentato dalla produzione industriale (al netto delle costruzioni) che a luglio ha segnato un ulteriore rialzo congiunturale (+0,8%), trainato da aumenti per i beni strumentali (+1,9%), intermedi (+1,4%) e di consumo (+0,9%). Nel secondo trimestre, con il marcato incremento del grado di utilizzo degli impianti, gli investimenti hanno segnato un’ulteriore crescita (+2,4%); la ripresa dei ritmi produttivi è stata inoltre stimolata dalle costruzioni e dai servizi, il cui valore aggiunto è aumentato rispettivamente del 3,2% e del 2,9%. Tra le attività dei servizi si segnala il deciso rimbalzo di commercio, trasporto, alloggio e ristorazione (+8,3%); i servizi ricettivi, in particolare, trainano il recupero (fatturato: +34,6%). È pur vero però che sono state le PMI a subire i severi effetti della crisi pandemica nel 2020 (riduzione di fatturato: 64% delle imprese contro 55% delle medio-grandi). Tuttavia, a resistere quelle imprese che hanno creduto e investito nel Digitale e nel Green, con un ritorno ai livelli produttivi pre-crisi entro il 2022 previsto dal 70% delle piccole imprese che ha investito nel Digitale e dal 67% di quelle che hanno investito nel Green. Specie nella green economy, l’Italia parte da posizioni di netto vantaggio. Secondo Eurostat, sul tema Green siamo il Paese europeo con la più alta percentuale di riciclo sulla totalità dei rifiuti: 79%, il doppio rispetto alla media europea (39%) e ben superiore rispetto a tutti gli altri grandi Paesi europei (la Francia è al 56%, il Regno Unito al 50%, la Germania al 43%). Inoltre, il Rapporto GreenItaly, attesta la posizione di prima linea delle imprese italiane in termini di sostenibilità ambientale: posto pari 100 il grado di eco-efficienza dell’Europa complessivamente considerata, l’Italia registra un valore di 143,9.

Lei sostiene che «serva un patto di serietà per far ripartire il lavoro, perché se riparte il lavoro riparte il Paese».

I dati attuali sull’occupazione quindi non la preoccupano? No, perché parlano i numeri: rispetto a febbraio 2020 si evidenzia un primo miglioramento del numero di occupati dipendenti (+29mila) trainati dalla componente a termine (+79mila,), mentre i livelli di quella permanente sono ancora inferiori (-50mila). Cifre che testimoniano come la paventata ondata di licenziamenti post-moratoria non ci sia affatto stata. A preoccuparmi semmai il dato che le imprese italiane non riescono a trovare circa mezzo milione di lavoratori con determinate caratteristiche. Pensiamo al green e al digitale. La stima per il periodo 2021-2025 del fabbisogno di personale con capacità di utilizzare competenze digitali è di circa 2 milioni di occupati (circa il 57% del fabbisogno totale), mentre quella per competenze green è di circa 2,4 milioni di lavoratori (circa il 63% del fabbisogno del quinquennio). Professionalità al momento introvabili.

Gli ITS potrebbero essere una risposta alla deindustrializzazione?

Sì, occorre una formazione altamente qualificata e specializzata che risponda concretamente alle nuove esigenze delle imprese. Gli ITS si propongono esattamente di far questo. Qualche anno fa la preoccupavano lo smarrimento di certi valori sociali e un processo involutivo di chiusura mentale.

Il Covid, secondo lei, ha acuito questa tendenza all’aggressività?

Tutt’altro. Credo che la pandemia per certi aspetti sia stato uno shock in positivo. Negli ultimi mesi, profonda è stata a mio avviso la rivalutazione della competenza, in molti settori di vita e di lavoro. Sono finalmente tornati in auge valori come la serietà, l’impegno, la responsabilità. Restano sparuti estremismi di posizione, fondati su basi umorali e del tutto illogiche, specie in quanti della pandemia per fortuna non hanno avuto esperienza diretta. È vero non si sono visti in strada monatti o lazzaretti, ma il covid ha fatto 130mila vittime. È come se un’intera città, grande come Salerno, di colpo fosse sparita. Non dimentichiamolo.