Il Fisco, relativamente alla dichiarazione dei redditi 2017, potrà accertare il reddito dei contribuenti sino al 31.12.2022, ovvero al 31.12.2024 nel caso di dichiarazione omessa
Eravamo rimasti al decreto sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente (DLGS128/2015), che, all’articolo 2 aveva finalmente chiarito – dopo anni di dibattiti e contenziosi – modalità e condizioni per il raddoppio dei termini di decadenza degli accertamenti dell’Agenzia delle Entrate (AGE), nei casi di violazioni fiscali penalmente rilevanti ai sensi del DLGS 74/2000(dichiarazione dei redditi infedele, fraudolenta, omessa), ed ecco che pochi mesi dopo, con la legge di Stabilità 2016 (Legge 208/2015), il Legislatore con un colpo di spugna elimina del tutto tale tematica.
Nessun raddoppio dei termini. Molto bene? Nemmeno per sogno. Come sempre, il nostro Legislatore dietro una notizia positiva, cela un’altra di gran lunga più negativa, facendo assumere alla buona novella la natura di poison pill.
Infatti, in una logica di puro scambio, accanto alla soppressione del raddoppio dei termini per i reati del DLGS 74, viene previsto l’allungamento dei termini ordinari di decadenza, per gli accertamenti dell’AGE (art. 43 DPR 600/73 e art. 57 DPR 633/72), che, a far datadall’1.1.2016 scivolano in avanti di un anno, o di due nei casi di dichiarazione omessa.
In pratica, con riferimento al periodo d’imposta 2016 (quindi con la dichiarazione dei redditi 2017), il Fisco potrà accertare il reddito dei contribuenti sino al 31.12.2022 ovvero al 31.12.2024, nel caso di dichiarazione omessa. Sembrerebbe a prima vista una soluzione salomonica, nel senso che le imprese potrebbero considerare più vantaggioso un allungamento dei termini di accertamento, piuttosto che un loro raddoppio.
A ben vedere si tratta, invece, di un provvedimento fortemente penalizzante, adottato per venire incontro alle solite croniche esigenze organizzative dell’Amministrazione Finanziaria, che in teoria non dovrebbero mai riversarsi sul contribuente. Ed ecco alcune ragioni. Innanzitutto, in linea di principio, lo “scambio”, il compromesso non è a saldo zero e non avviene tra reciproche rinunce omogenee, in quanto il contribuente concede un vantaggio certo (l’aumento della durata degli accertamenti) e ottiene in contropartita un’utilità potenziale, rappresentata dalla eliminazione di un rischio (il raddoppio dei termini).
Poi, la modifica normativa, paradossalmente, premia i contribuenti “birichini” (che, confrontando le due normative, si vedono abbonati in pratica tre anni di perseguibilità fiscale) e colpisce quelli più onesti, che invece subiscono, senza ragione alcuna, un aumento della durata del periodo di censura delle dichiarazioni.
Ma soprattutto il nuovo provvedimento amplia ulteriormente il livello di incertezza nei rapporti tributari, che in Italia, a causa della farraginosità delle norme e della bulimia interpretativa dell’AGE, già si presenta elevata, tanto da rappresentare un fattore di forte handicap competitivo rispetto all’estero. E questo deficit concorrenziale lo vedremo, tanto per citarne una, nelle operazioni di M&A (fusioni e acquisizioni), che certamente si complicheranno.
Si prenda il caso di dichiarazione omessa: i rapporti fiscali rimarranno pendenti sino a 8 anni dalla chiusura del periodo d’imposta. Una durata che, nella attuale economia globale, corrisponde quasi ad un ciclo economico.
Con queste prospettive, un investitore, nel gestire il pacchetto di tutele da chiedere sulla fiscalità del target da acquisire, dovrà preoccuparsi della continuità patrimoniale del venditore garante, per un lasso di tempo molto più lungo, come pure dovrà valutare come disciplinare la trasferibilità di tali garanzie a terzi, nel caso in cui l’azienda, prima del decorso degli otto anni dall’acquisto, fosse rivenduta a terzi (di solito i fondi di private equity smobilizzano a cinque anni data).
È un esempio, ma potrebbero essere citate tante altre fattispecie, nelle quali la nuova legge crea complicazioni, costi e rischio di cambi di direzione dei flussi di investimento. Si potrà dire che il caso dell’omessa dichiarazione è un’ipotesi estrema. In linea di principio questa considerazione può essere anche ragionevole, ma nei fatti, oggi l’omissione non è più uno scenario così estremo.
Con le norme sulla esterovestizione, sulle stabili organizzazioni e su tutto l’armamentario dell’eterodirezione dall’Italia di soggetti giuridicamente esteri, i casi di omessa dichiarazione stanno diventando talmente frequenti, da assurgere a veri e propri filoni di accertamento a batteria, con addirittura annessi massimari giurisprudenziali, e a prescindere dagli intenti delittuosi. In un sistema tributario serio, la questione aberrante del raddoppio dei termini, alla base della descritta girandola di modifiche normative, sarebbe stata risolta, non già peggiorando la certezza dei rapporti con la Pubblica Amministrazione, ma qualificando gli strumenti a disposizione dell’Amministrazione Finanziaria per la lotta alla evasione.
È principio di giustizia sociale, infatti, non far pagare al contribuente le inefficienze del sistema tributario. Ma in Italia questo argomento ha un appealing pari a zero. L’unica morale, quindi, che si può trarre da questa vicenda, è che la fiscalità continua ad essere concepita come contrapposizione di interessi e non come strumento di politica economica.
Ma c’è di più. Alcuni autorevoli commentatori ed esperti avrebbero colto una totale mancanza di coordinamento tra l’allungamento dei termini introdotto dalla legge di Stabilità e le altre disposizioni che tuttora ancora prevedono il loro raddoppio, per ulteriori violazioni fiscali (diverse da quelle del DLGS 74), che non sarebbero state coerentemente modificate.
Mi riferisco alle norme sulla localizzazione di disponibilità in Paesi paradisiaci o ai rapporti con società localizzate in tali territori, che statuiscono appunto, in caso di loro violazione, il raddoppio dei termini di accertamento. Se fosse corretta l’attuale lettura sistematica, si determinerebbe, perle citate specifiche violazioni, una durata del potere di accertamento vicino a quello di una generazione (con riferimento al 2016: il 2027 o il 2031 in caso di dichiarazione omessa).
Si può concludere che, non essendoci mai limite al peggio, piuttosto che lamentarci dell’allungamento dei termini, siamo costretti invece a sperare che l’AGE chiarisca quantomeno, che il loro raddoppio non si applica più ad alcuna fattispecie. Come si diceva: poison pill.