L’innovazione tecnologica che parla ai territori

Questo oggi può essere il senso dei processi di innovazione: riconnettere gli attori di un territorio per riguardare i luoghi favorendone lo sviluppo

 

Proponiamo di seguito una riflessione sul perché le MPMI non hanno risposto agli incentivi e alle proposte di introduzione di tecnologie 4.0 in modo consistente e proviamo a proporre una modalità altra di innovazione che affronta insieme l’innovazione tecnologica e quella sociale.

Quelle che seguono sono riflessioni che nascono dall’esperienza diretta e dall’incontro con centinaia di piccoli e piccolissimi imprenditori soprattutto campani, nel corso di questi tre anni di attività all’interno del PIDMed di Salerno. Le ragioni per le quali le MPMI tendono a stare distanti dal 4.0 sono diverse e si combinano tra loro, rafforzando la resistenza e il disinteresse:

molti imprenditori, specie quelli che fondano la loro attività sul lavoro artigianale, non comprendono l’utilità di introdurre tecnologie 4.0 nei loro processi produttivi. Alcuni anzi temono di poter ridurre il potere competitivo se la loro attività viene automatizzata;

i piccoli e piccolissimi imprenditori -che lavorano soli o con pochi collaboratori- non hanno processi produttivi codificati e basano il loro lavoro sull’estro e su saperi spesso fondati sulla tradizione e su quanto tramandato (questo accade spesso per esempio nel lavoro agricolo). Il valore aggiunto di macchine e strumenti che raccolgono informazioni che loro già conoscono e che elaborano soluzioni al posto loro non è considerato né utile, né desiderabile; la conoscenza degli strumenti 4.0 e il loro potenziale di applicazione non è così diffuso; molte delle soluzioni proposte sono pensate per contesti diversi da quelli specifici della singola impresa mentre il livello di customizzazione delle soluzioni per le MPMI deve essere molto più alto; le istituzioni che hanno il compito di informare, alfabetizzare ed erogare incentivi spesso non elaborano strategie informative efficaci; spesso queste imprese non appartengono a tessuti imprenditoriali fatti di grandi imprese che trainano i processi di innovazione e, anzi, si trovano in zone distanti dai centri urbani e dai sistemi produttivi che potrebbero favorire la diffusione di queste tecnologie (per esempio condizionando la catena dei fornitori nell’uso di determinati strumenti).

C’è una dimensione che gli economisti forse non prendono sufficientemente in considerazione: un’innovazione tecnologica come quella immaginata dalla rivoluzione 4.0 ha bisogno di cambiamenti sociali che siano altrettanto rivoluzionari. Industry 5.0: a Trasformative Vision for Europe, un interessante Policy brief realizzato da un gruppo di esperti chiamati dall’Europa a riempire di senso questa rivoluzione annunciata che ancora non si è palesata in tutto il suo potenziale.

Si dice chiaramente che un nuovo paradigma della produzione industriale deve uscire dal modello attuale creando un approccio persona-pianeta-prosperità in tutta la catena del valore. E a queste riflessioni serva aggiungere un elemento-chiave: le nostre MPMI appartengono a contesti territoriali che possono diventare laboratori preziosi per favorire incontri, confronti e scambi dai quali far emergere punti di vista nuovi, creando connessioni e ponti tra discipline e posizioni differenti e distanti. I processi di capacitazione, che presuppongono la trasmissione, la condivisione e la trasformazione dei saperi, si producono sempre a partire da condizioni locali. Anche se hanno vocazione a delocalizzarsi su un mercato, nelle biblioteche, nei network scientifici, nelle scuole e nelle università o attraverso tipi di scambio, i saperi pratici e teorici variano in funzione delle epoche e dei milieux tecno-geografici.

Ci sono diverse teorie e vari studi che osservano come l’organizzazione territoriale delle attività economiche genera esternalità positive di conoscenza e condivisione (il cosiddetto spillover) con effetti evidenti dal punto di vista del benessere dei territori e delle persone.

E sono fenomeni, questi, fortemente condizionati dalla concentrazione geografica, soprattutto quando si tratta di diffusione di conoscenza tacita, in quanto legati ai comportamenti sociali dei gruppi umani, in cui la prossimità e l’incontro diretto aumentano la probabilità di comunicazione cioè di scambio di informazioni, idee e conoscenza. La concentrazione geografica gioca un ruolo fondamentale per l’innovazione e le stesse imprese, quando sono radicate, creano un ciclo di feedback che le rende attori del cambiamento. Gli attori di un territorio compartecipano alla definizione della capacità innovativa del luogo oltre che alla sua specializzazione. In questo senso il territorio diventa una parte attiva nella nascita di pratiche, processi, idee, soluzioni e sono molte le esperienze che evidenziano questa funzione che meglio si esprime quando attori chiave (magari istituzionali) giocano un ruolo di regia. In questo modo a livello territoriale si possono creare nuove occasioni, nuove risposte ai bisogni, nuove ricombinazioni degli interessi, con un orientamento generativo e sostenibile per tutto il sistema territoriale.

Questo oggi può essere il senso dei processi di innovazione: riconnettere gli attori di un territorio per riguardare i luoghi favorendone il loro sviluppo. Riguardare nel duplice senso di aver riguardo per loro e di tornare a guardarli perché nessuno sviluppo può avvenire sulla base del disprezzo dei luoghi, della loro vendita all’incanto, dagli stupri industriali della modernità a quelli turistici della postmodernità (Cassano F. Il pensiero meridiano, Editori Laterza, 1996). E riguardare con sguardo rinnovato, un riguardare aumentato grazie alle possibilità offerte da una nuova alleanza tra intelligenze collettive e tecnologie digitali, finalizzata a creare ponti tra la comunità locali e le comunità di intenzione, di tutti gli impatti positivi generati sul Pianeta da una certa visione del Mondo.