I giudici della Suprema Corte hanno ritenuto che l’accertata violazione della normativa antitrust, in seguito all’adozione di una modulistica conforme allo schema predisposto dall’Associazione Bancaria Italiana, si ripercuote anche sui contratti stipulati precedentemente a tale accertamento
In tema di accertamento dell’esistenza di intese anticoncorrenziali vietate dalla legge antitrust, la stipulazione “a valle” di contratti o negozi che costituiscano l’applicazione di quelle intese illecite concluse “a monte” (in particolare quelle relative alle norme bancarie uniformi ABI in materia di contratti di fideiussione, in quanto contenenti clausole contrarie a norme imperative) comprendono anche i contratti stipulati anteriormente all’accertamento dell’intesa da parte dell’Autorità indipendente preposta alla regolazione o al controllo di quel mercato (nella specie, per quello bancario, la Banca d’Italia, con le funzioni di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi, ai sensi della L. n. 287 del 1990, artt. 14 e 20, in vigore fino al trasferimento dei poteri all’AGCM, con la L. n. 262 del 2005, a far data dal 12 gennaio 2016) a condizione che quell’intesa sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato come nullo, considerato anche che rientrano sotto quella disciplina anticoncorrenziale tutte le vicende successive del rapporto che costituiscano la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza.
Si tratta del principio testualmente affermato dalla Prima Sezione Civile della Cassazione con l’ordinanza n. 29810 del 12 dicembre 2017.
In sostanza i giudici della Suprema Corte, nel riformare la sentenza della Corte di Appello di Venezia avente ad oggetto una fideiussione rilasciata in favore di un istituto bancario, hanno ritenuto che l’accertata violazione della normativa antitrust in seguito all’adozione di una modulistica conforme allo schema predisposto dalla ABI (Associazione Bancaria Italiana) si ripercuote anche sui contratti stipulati precedentemente a tale accertamento (il provvedimento della Banca d’Italia n. B423 è del 2 maggio 2005). Al riguardo, occorre preliminarmente evidenziare che le Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 2207 del 2005) hanno da tempo precisato che la legge antitrust (legge n. 287 del 1990) ha posto regole a tutela della libertà di concorrenza aventi come destinatari non soltanto gli imprenditori, ma anche gli altri soggetti del mercato, ovvero chiunque abbia interesse alla conservazione del suo carattere competitivo al punto da poter allegare uno specifico pregiudizio conseguente alla rottura o alla diminuzione di tale carattere per effetto di un’intesa vietata. Infatti, un’intesa restrittiva della libertà di concorrenza pregiudica il consumatore quale acquirente finale del prodotto offerto dal mercato che vede eluso il proprio diritto ad una scelta effettiva tra prodotti in concorrenza, per cui il contratto “a valle” costituisce lo sbocco dell’intesa vietata, essenziale a realizzarne e ad attuarne gli effetti.
Ebbene, nel caso giunto all’esame dei giudici veneti e poi della Cassazione, il consumatore (fideiussore) aveva chiamato in giudizio la banca chiedendo di accertare la nullità dell’accordo contrattuale in quanto conforme alle NBU (norme bancarie uniformi predisposte dall’ABI), oltre al risarcimento dei danni.
La Suprema Corte sul punto puntualizza che, una volta accertata la violazione della legge antitrust, non è possibile escludere la nullità di quel contratto per il solo fatto della sua anteriorità rispetto all’indagine della Banca d’Italia e alle sue risultanze, poiché se la violazione “a monte” è stata consumata anteriormente alla negoziazione “a valle”, l’illecito anticoncorrenziale consumatosi prima della stipula della fideiussione travolge necessariamente il contratto concluso “a valle”, per la violazione dei princìpi e delle disposizioni regolative della materia.
Se da un lato, quindi, è ammessa la nullità dei contratti “a valle”, dall’altro non può essere esclusa tale nullità perché la stipula è precedente all’accertamento della violazione concorrenziale accertata dall’Autorità competente. Considerato dunque che la fideiussione sottoscritta “a valle” (conformemente a quanto previsto dalle NBU) costituisce lo sbocco dell’intesa dichiarata anticoncorrenziale quale estrinsecazione e attuazione della stessa, il giudice è chiamato a valutarne la potenziale nullità.
La giurisprudenza di merito sulla questione sembra orientata ad una rigorosa applicazione di quanto espresso dalla Cassazione in quanto le prime pronunce, dopo aver rilevato la nullità della fideiussione per lo più in giudizi nei quali il fideiussore si era opposto al decreto ingiuntivo ottenuto dalla banca creditrice, se in taluni casi negano la concessione della provvisoria esecuzione al decreto opposto (Tribunale di Roma, ordinanza del 26 luglio 2018) per l’altro accolgono la richiesta di sospensione della esecutività della sentenza di primo grado (peraltro con eccezione di nullità proposta per la prima volta in sede di gravame; in tal senso si è espressa la Corte di Appello di Firenze, ordinanza del 18 luglio 2018), sino a giungere alla declaratoria di nullità integrale della fideiussione (Tribunale di Salerno, sentenza n. 3016 del 23 agosto 2018) che pur trova opinioni dissenzienti da parte della dottrina quanto meno nel suo automatismo applicativo e anche in giurisprudenza (secondo il Tribunale di Treviso, sentenza del 30 luglio 2018, non può essere dichiarata la nullità né in termini di nullità derivata, né per illiceità della causa, né ai sensi dell’art. 1418 co. 1 c.c.).
La questione interpretativa traspare nella sua estrema delicatezza anche perché appaiono potenzialmente esposte alla sanzione della nullità tutte quelle fideiussioni rilasciate in favore delle banche se redatte in conformità alle norme bancarie uniformi predisposte dall’ABI. Nullità che, peraltro, può essere eccepita anche nei processi pendenti e in qualunque grado del giudizio (essendo altresì rilevabile ex officio dal giudice); questione rimessa dunque alla prudente interpretazione dei giudici di merito che sono chiamati a decidere sempre più frequentemente sulla dedotta nullità.