Una pronuncia che si inserisce in un consolidato orientamento giurisprudenziale volto a contrastare le pratiche elusive attraverso l’uso improprio della personalità giuridica delle società, per vari fini
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2284 del 31 gennaio 2025, ha affrontato la tematica dell’abuso della personalità giuridica, stabilendo alcune caratteristiche tipiche e gli obiettivi dell’utilizzo fiscalmente “illecito” dello schermo societario, da parte di soci e loro parti correlate.
La controversia riguardava i due soci, tra loro legati da vincoli di parentela, di una società a responsabilità limitata esercente attività immobiliare, che, secondo l’Agenzia delle Entrate, avevano utilizzato tale società come mero “schermo” per conseguire indebiti vantaggi fiscali personali.
L’operazione oggetto di contestazione – sebbene abbastanza articolata e con l’intervento di vari soggetti – in estrema sintesi si era realizzata in due fasi: vendita dell’unico immobile posseduto dalla società e, successivamente, cessione delle quote societarie da parte dei due soci.
Tale sequenza di operazioni, secondo la tesi dell’Agenzia, aveva permesso di tassare esclusivamente la plusvalenza derivante dalla cessione delle quote, evitando così una tassazione più onerosa legata alla vendita diretta dell’immobile e alla successiva distribuzione degli utili realizzati da questa vendita.
L’iter processuale aveva visto, in primo grado, la soccombenza dei soci, mentre in sede di appello, quella dell’Agenzia. Da quanto si evince dalla sentenza, per i giudici di secondo grado, la società non era uno schermo dei soci, in quanto aveva avuto una sua operatività prima della cessione dell’immobile e inoltre non vi era differenza nel cedere le quote della società prima o dopo la cessione dell’immobile. L’operazione, pertanto, non integrava un abuso della personalità giuridica.
La Cassazione, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ha stabilito, invece che per configurare un abuso della personalità giuridica, non è necessario dimostrare l’esistenza di una società fittizia o la sua inoperatività sin dalla costituzione, ben potendo diventare fittizia o inoperativa anche in una fase successiva, in base all’uso che di essa fanno i soci, desumibile dai fatti.
Questi fatti consistevano, nel caso di specie, nell’utilizzo da parte dei due soli soci legati da vincoli di parentela, dello schermo societario, per continuare a gestire direttamente l’immobile societario come affare proprio fino alla cessione delle quote, realizzata peraltro attraverso una serie di operazioni illogiche e idonee a soddisfare esigenze economiche solo dei soci e non della società. Inoltre, a parere della Cassazione, la cessione delle quote solo dopo la vendita dell’immobile non è irrilevante come supposto dalla Corte di Appello, ma addirittura rafforzante la prova della gestione ad uso proprio dei soci.
Secondo la Cassazione l’elemento, forse più frequente, che caratterizza le società schermo è la confusione di patrimoni e di sfere giuridiche, quando i beni appartenenti alla società vengono costantemente confusi con gli altri beni di carattere personale del socio, con conseguente impossibilità di imputazione certa di determinati beni o redditi ad un soggetto giuridico precisamente individuato. Questa pronuncia si inserisce in un consolidato orientamento giurisprudenziale volto a contrastare le pratiche elusive attraverso l’uso improprio della personalità giuridica delle società, per vari fini.
Lo schermo “illecito”, anche sulla base di quanto affermato dalla Cassazione, di solito si utilizza per celare l’esercizio in forma individuale dell’attività di impresa o di lavoro autonomo, per fruire di norme di favore altrimenti inapplicabili (limitazione della responsabilità – elusioni di patti di non concorrenza), ma anche per godere di una disciplina fiscale più leggera e, in tutti questi casi, gestendo la società come se fosse cosa propria.
Non meno rilevanti sono gli usi delle società “schermo” per un rinvio sine die della tassazione degli utili societari in capo ai soci, senza quindi far ricorso alla distribuzione di utili, che sotto impresa individuale o lavoro autonomo sarebbero stati tassati ad aliquota marginale. Tale sentenza, ma soprattutto le sue argomentazioni, è un importante riferimento in materia tributaria perché – al di là del caso specifico esaminato, abbastanza al limite dello spregio normativo – impone una attenta verifica di tutte quelle strutturazioni societarie (esempio: le holding o le società di consulenza individuale), poste in essere in perfetta buona fede e ai fini di una migliore organizzazione del business che però, a volte, possono presentare, magari solo collateralmente talune situazioni fiscalmente censurabili.
Fra tutte, come si accennava, l’utilizzo personale di beni o redditi societari.
Le conseguenze di una riqualificazione fiscale di società schermo – al netto di eventuali tematiche penali – sono ad ampio spettro, ma generalmente possono ricondursi all’attribuzione dei redditi schermati comprensivi di sanzioni e interessi, al soggetto beneficiario effettivo finale.
Occorre tuttavia precisare che, in alcune fattispecie, l’Agenzia delle Entrate è arrivata fino alla contestazione di fatturazione soggettivamente inesistente, in virtù del fatto che – a parere dell’Agenzia – il soggetto emittente (società schermo) era diverso dal soggetto effettivo erogatore della prestazione (socio).
In buona sintesi, la societarizzazione delle attività rimane del tutto lecita, se non addirittura favorita (ad esempio, art.177 comma 2 e 2bis TUIR), ma non bisogna esagerare.