Il testo finale sul quale viene raggiunto l’accordo con le maggioranze potrebbe avere un contenuto in parte diverso rispetto alla proposta inizialmente presentata
La Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 08/2/2013, ha stabilito che la facoltà riconosciuta dal sesto comma dell’art. 182 bis della legge fallimentare, di ottenere l’inibitoria delle azioni cautelari o esecutive per il tempo necessario allo svolgimento delle trattive e prima della formalizzazione dell’accordo, presuppone l’esistenza di trattative che devono essere in fase avanzata e dotate di un apprezzabile grado di serietà, ma non esclude la possibilità che possano essere apportate modifiche o integrazioni all’accordo.
Il testo della norma non pone infatti alcun vincolo all’imprenditore in ordine al contenuto della proposta di accordo rispetto all’accordo definitivo raggiunto con le maggioranze previste nel termine assegnato dal tribunale.
Con ricorso ex artt. 182 bis co 5 e 7 e 183 l fall. una società aveva proposto reclamo avverso il decreto con cui il Tribunale di Varese aveva respinto l’istanza volta ad ottenere ai sensi dell’art. 182 bis comma 6) l. fall. il blocco delle azioni esecutive e cautelari sul patrimonio della società debitrice per il termine di 60 giorni, al fine di consentire il deposito dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, in ordine alla cui conclusione erano in corso trattative con i creditori rappresentanti il 60% dei crediti.
La reclamante lamentava tra l’altro la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 182 bis l. fall., in quanto il Tribunale anziché limitarsi a verificare la sussistenza dei presupposti di cui ai commi 6 e 7 della norma citata – e cioè che la proposta di accordo fosse corredata da una dichiarazione dell’imprenditore avente valore di autocertificazione attestante che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti, e da una dichiarazione del professionista circa l’idoneità della proposta se accettata, ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori con i quali non erano in corso trattative o che avessero comunque negato la propria disponibilità a trattare – avrebbe invece effettuato una valutazione non consentita sul merito della proposta e del futuro accordo di ristrutturazione motivando il rigetto dell’istanza, peraltro in assenza di opposizioni da parte dei creditori, non già appunto sulla insussistenza di trattative con la percentuale di creditori sopra indicata, ovvero sull’idoneità della proposta a soddisfare i creditori estranei alle trattative alla luce della dichiarazione resa dai professionisti, ma sul rilievo che l’accordo proposto non sarebbe stato suscettibile di essere omologato in quanto parte integrante dello stesso era rappresentato da una transazione fiscale che per il suo contenuto doveva ritenersi inammissibile.
La Corte d’Appello di Milano nell’accogliere il reclamo proposto evidenzia che la circostanza di essere nella fase delle trattative e quindi non in presenza di un accordo definitivo nel suo contenuto non giustificava il rigetto dell’istanza. La norma infatti individua quale oggetto della cognizione del Tribunale in questa fase l’esistenza di una proposta di accordo accompagnata dalla dichiarazione dell’imprenditore della pendenza di trattative con i creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti e dalla dichiarazione del professionista che attesti l’idoneità della proposta a soddisfare i creditori estranei all’accordo. Il testo della proposta può anche subire modificazioni e integrazioni nel termine di 60 giorni di cui alla norma citata, pertanto in questa fase eventuali aspetti problematici della proposta di accordo, ove tali da non incidere sull’intero contenuto e comprometterne quindi in maniera radicale e irrimediabile l’omologabilità, non precludono l’accoglimento dell’istanza inibitoria.
La norma richiamata, secondo la condivisibile interpretazione della Corte d’Appello di Milano, non porrebbe quindi alcun vincolo all’imprenditore in ordine al contenuto della proposta di accordo rispetto all’accordo definitivo per cui il testo finale sul quale viene raggiunto l’accordo con le maggioranze previste dalla norma nel termine assegnato dal Tribunale potrebbe avere un contenuto in parte diverso rispetto alla proposta inizialmente presentata ai sensi dell’art. 182 bis comma 6) l.fall. al fine di ottenere la cristallizzazione delle azioni esecutive e cautelari.
La Corte d’Appello evidenzia come il legislatore non abbia indicato il grado di corrispondenza tra la proposta iniziale rispetto all’accordo definitivo, depositato successivamente, e in particolare non ha disposto che il contenuto della proposta di accordo debba senz’altro coincidere con l’accordo definitivo che sarà poi oggetto del giudizio di omologazione. Invero la fase più delicata è proprio quella delle trattative che precedono la domanda di omologa in quanto in questa fase il patrimonio dell’imprenditore è esposto all’azione dei creditori che con le loro iniziative possono compromettere la riuscita del tentativo di risoluzione della crisi. Pertanto il presupposto richiesto dalla norma per procedere all’inibitoria è che siano in corso trattative con i creditori al fine di pervenire al superamento della crisi mediante un accordo di ristrutturazione dei debiti. Tali trattative pur dovendo essere in fase avanzata e caratterizzate da un elevato livello di serietà, proprio perché ancora in corso, non possono escludere a priori l’eventualità di modifiche o integrazioni se rese necessarie ai fini del raggiungimento delle adesioni necessarie all’omologazione dell’accordo.
Invero in caso contrario, l’utilità dell’istituto risulterebbe modesta, in quanto il ricorso al blocco delle azioni esecutive e cautelari, sarebbe praticabile soltanto nel caso in cui l’imprenditore abbia già raggiunto l’adesione dei creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti.
L’opinione della Corte d’Appello troverebbe ulteriore conferma laddove si consideri che la modifica legislativa dell’art. 182 bis che ha consentito all’imprenditore di depositare, nel termine assegnato dal tribunale, anziché un accordo di ristrutturazione anche una domanda di concordato preventivo. Pertanto così facendo è stato consentito di mantenere l’effetto del blocco delle azioni esecutive e cautelari, passando però addirittura da un procedimento all’altro. Pertanto conseguenza di questo impianto normativo è la possibilità di presentare al Tribunale, al fine di ottenere l’automatic stay, una proposta che non necessariamente dev’essere esattamente corrispondente al contenuto definitivo dell’accordo di ristrutturazione.