Agenti intelligenti per compiti complessi

Resta alto il valore delle competenze umane di chi sviluppa queste applicazioni, che devono sempre rispettare non solo un principio di efficienza, ma anche criteri di trasparenza e sicurezza

 

Nel libro L’era dell’intelligenza artificiale, autori come Henri Kissinger ed Eric Schmidt pongono l’accento su una riflessione essenziale: le piattaforme come ChatGPT non possono essere considerate come meri strumenti operativi, come cacciaviti o pennelli. Esse rappresentano invece forme di “intelligenza altra”, capaci di ridefinire il rapporto tra umano e tecnologia. Questa visione, avanzata nel 2023, avrebbe potuto essere stata interpretata a quel tempo come futuristica o astratta, ma oggi appare quanto mai pertinente.

Con l’evoluzione dell’intelligenza artificiale generativa, si parla sempre di più di “agenti intelligenti”, dotati di capacità operative che superano l’automazione tradizionale e li rendono attori indipendenti nell’ecosistema aziendale. Gli agenti intelligenti rappresentano un passo avanti nell’adozione dell’Intelligenza Artificiale all’interno di una organizzazione. Non si limitano infatti a eseguire istruzioni, ma agiscono in modo integrato grazie alla combinazione di tre elementi: i modelli linguistici per interpretare gli input e fornire gli output, knowledge base specializzate che consentono di fornire un contesto di conoscenza più sicuro, regole formali di comportamento. Tutto questo grazie ad orchestratori, unità informatiche progettate per gestire e attivare protocolli di risposta specifici. Addestrare un chatbot a disposizione dei dipendenti per compilare correttamente i documenti per il rimborso delle spese di trasferta. Collegare un centralino a una piattaforma in grado di trascrivere e rielaborare le risposte fornite ai clienti nelle attività di assistenza. Raccogliere i preventivi dei fornitori rispondendo alle loro domande per fornire una tabella delle offerte ricevute. Sono solo alcune delle possibili applicazioni degli agenti intelligenti, il futuro prossimo dell’Intelligenza Artificiale Generativa. Si tratta di progetti che mettono al centro non tanto l’uso dei chatbot per la produttività personale dei collaboratori quanto la definizione di attività ripetitive per le quali il coinvolgimento del personale non rappresenta un valore aggiunto.

Il fattore tempo è dunque determinante per individuare processi che possono essere resi più efficienti grazie all’apporto dell’Ai, ma non è il solo: i dati e le informazioni aziendali sono necessarie per addestrare gli agenti intelligenti e richiedono competenze appropriate perché il confronto con i fornitori specializzati in questo ambito sia fluido ed efficace.

L’impatto normativo e le sfide etiche

Fra le competenze necessarie per sviluppare queste applicazioni non occorrono solo la conoscenza dei processi interni così da raccogliere le informazioni utili, ma anche sensibilità adeguate a far sì che i dati alla base non contengano asimmetrie: l’utilizzo di un algoritmo per vagliare le candidature ricevute o per gestire le richieste di ferie e permessi è infatti un’attività “ad alto rischio” secondo l’AI Act e richiede che sia sviluppato senza che cristallizzi pregiudizi contenuti nei dati di partenza.

L’introduzione della AI non deve infatti essere improntata solo ad un principio di efficienza, ma rispettare anche criteri di trasparenza e sicurezza in grado di spiegare perché una certa decisione è stata presa e permettere a ciascuno di scegliere sulla base di responsabilità personali consapevoli e legittimate. Con una tecnologia che risulta così efficace nel supportare le scelte, emerge infatti ancora di più il bisogno di imprimere spirito critico nei confronti delle risposte ricevute e di valorizzare l’apporto umano e la dimensione personale all’interno di un’azienda.