Anatocismo, interessi passivi e commissioni non dovute: il “banco” perde

maurizio galardo

Una sentenza del Tribunale di Ancona stabilisce che l’istituto di credito restituisca al correntista le somme illegittimamente incassate perché mai concordate, oltre a farsi carico delle spese legali

 

Il Tribunale di Ancona con sentenza depositata il 18 novembre 2014 si è pronunciato in merito ad una domanda di restituzione da parte del cliente di una banca delle somme da questa illegittimamente incassate a titolo di interessi passivi anatocistici, indebitamente capitalizzati, interessi usurari, commissioni di massimo scoperto non convenute, provvigioni indebite, valute mai concordate e spese di tenuta conto illegittime.

 

Il conto corrente era stato aperto in data 06/5/1992. In particolare veniva contestata la nullità della clausola relativa alla previsione degli interessi a debito in quanto mancante della specifica determinazione del tasso, nonché in relazione alla previsione di interessi anatocistici con capitalizzazione trimestrale per quelli a debito, rispetto alla capitalizzazione annuale per quelli a credito.

La società correntista eccepiva inoltre l’illegittimità della previsione di valute d’uso e della commissione di massimo scoperto per mancanza di una causa giustificatrice e comunque per essere stata applicata nonostante non fosse stata prevista nel contratto originario.

Veniva eccepito, inoltre, il fatto che, considerando l’importo di commissioni, spese e remunerazioni a qualsiasi titolo, il tasso di interesse applicato fosse superiore al tasso soglia previsto dalla l. 108/1996.

Per tali ragioni la società correntista chiedeva la restituzione alla banca delle somme indebitamente pagate ex art. 2033 cod. civ..
Il Tribunale di Ancona nella sentenza che si commenta, nell’accogliere la domanda dell’attore, ha dichiarato la nullità della clausola relativa al tasso debitore in quanto la stessa non conteneva l’indicazione numerica percentuale del tasso applicabile, in particolare ha ritenuto di dover dichiarare la nullità del contratto di conto corrente nella parte in cui nel determinare il tasso d’interesse passivo si faceva riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza.

Tale convenzione contrasta infatti con gli artt. 1284 e 1418 cod. civ. in particolare ai sensi della prima norma richiamata “gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto, altrimenti sono dovuti nella misura legale”.

Sotto tale profilo anche la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che la pattuizione relativa agli interessi può ritenersi validamente stipulata solo quando il relativo tasso risulti determinabile in base a criteri oggettivi indicati nel contratto; tale circostanza non si verifica quando vi è solo un generico riferimento alle “condizioni usualmente indicate dalle aziende di credito sulla piazza” come si è verificato nel caso di specie. A tale dichiarazione di nullità consegue che nel rapporto di conto corrente, per tutta la sua durata, gli interessi passivi vanno determinati e computati al tasso legale. Altra conseguenza dell’accertata nullità è la legittimità dell’azione di ripetizione in relazione alle somme corrisposte dal cliente alla banca per interessi superiori a quelli determinati dalla legge, in quanto tale azione non risulti prescritta. Il Tribunale ha inoltre dichiarato la nullità della clausola contenente la pattuizione degli interessi anatocistici con periodicità trimestrale, da ritenersi contra legem e non rispondente a nessun uso normativo, conformemente all’orientamento della giurisprudenza anche di legittimità. Sotto tale profilo il Tribunale ha stabilito che, alla dichiarazione di nullità della clausola anatocistica che prevede la capitalizzazione trimestrale, consegue che nessuna capitalizzazione possa essere applicata, neanche annuale. Infatti l’art. 1283 cod. civ. ai sensi del quale “gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza , e sempre che si tratti di interessi dovuti per almeno sei mesi”, ha natura imperativa e inderogabile.

Pertanto, la circostanza che il contratto di conto corrente prevedesse la capitalizzazione annuale con riguardo agli interessi attivi non è un argomento sufficiente per concludere che possa procedersi alla sostituzione della capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito con quella annuale. Non esiste alcuna norma di legge, infatti, che autorizzi il giudice a procedere ad una sostituzione della capitalizzazione trimestrale con quella annuale, né si può sostenere che ciò sia consentito e giustificato da ragioni di equità o che ciò corrisponda ad un uso normativo.
Il tribunale in applicazione di questi principi ha ritenuto che non possono essere riconosciuti all’istituto di credito interessi anatocistici dall’apertura del conto fino all’introduzione del giudizio, stabilendo altresì che alla società attrice andassero restituite le somme corrisposte per estinguere tali interessi, frutto di una illegittima capitalizzazione degli stessi per tutto il periodo di durata del conto corrente, senza doversi considerare alcuna capitalizzazione, neanche annuale.

Con riguardo alle commissioni di massimo scoperto l’attore aveva eccepito la nullità del contratto in quanto tali commissioni, in concreto applicate, non erano state oggetto di specifica convenzione e dunque per difetto del requisito di forma scritta ad substantiam.

Il Tribunale ha ritenuto che l’assenza nel contratto di conto corrente di ogni riferimento alle commissioni di massimo scoperto determina l’illegittima applicazione di tale commissione perché pone a carico del correntista un’obbligazione non concordata. La stessa conclusione vale per tutte le altre commissioni e competenze non pattuite per iscritto.
Ne consegue che all’Istituto di credito non possono essere riconosciute tali commissioni che pertanto vanno restituite. Per quanto concerne invece le valute queste vanno prese in considerazione dalla cosiddetta data contabile, considerata l’illegittimità per l’estrema genericità dell’oggetto del riferimento contenuto nel contratto alla“data valuta regolamento”. In applicazione dei suddetti principi il Tribunale ha condannato la banca a restituire alla società attrice la somma complessiva di euro 123.559,01 così come calcolata dal CTU oltre al pagamento delle spese legali.