La visione di Confindustria realizzabile nell’arco di una legislatura: 1,8 milioni di posti di lavoro in più, una crescita del 2% l’anno e una riduzione del debito/Pil del 20%. In un documento, presentato a Verona lo scorso 16 febbraio, indicati con chiarezza obiettivi, risorse e protagonisti
Ha calcolato la distanza tra due punti – l’Italia e la ripresa stabile – e li ha uniti. Lungo l’articolato percorso tracciato nel documento elaborato dal Centro Studi di Confindustria diretto da Andrea Montanino e spiegato dal presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, dal palco del Palafiere di Verona lo scorso 16 febbraio, ci sono in chiaro tutti i passaggi intermedi: obiettivi, protagonisti, azioni e risorse. Confindustria – in 28 dense pagine di documento – ha disegnato il suo progetto Paese: un’Italia che punta ad aumentare di 5 punti l’occupazione (e di 15 quella giovanile), con 1,8 milioni di posti di lavoro; che dovrà crescere almeno del 2% l’anno e che abbasserà il debito/Pil del 20%.
Tre le missioni che deve porsi il Paese: più lavoro per i giovani, più crescita e meno debito pubblico, quello stesso debito che – secondo l’Istituto Bruno Leoni – attualmente cresce di 4469 euro al secondo. È una corsa contro il tempo, per non restare indietro, ma non una maratona senza fiato.
Con buonsenso, previsione ed esperienza, il progetto di Confindustria guarda all’arco di una legislatura, la prossima, prescindendo da chi sarà a guidarla. In cinque anni, sempre che non vengano smontati quegli strumenti che hanno favorito la crescita come Jobs Act e Industria 4.o, il Paese può farcela a diventare più inclusivo, creando maggiori opportunità di lavoro specie per i giovani, a puntare su di una crescita più sostenuta e costante e, infine, a rassicurare imprese, cittadini, Europa e mondo intero facendo rientrare in modo graduale il proprio debito pubblico. Questi obiettivi – si legge nel documento – possono essere realisticamente realizzati «attraverso il reperimento e l’impiego di 250 miliardi di euro». Per il recepimento risorse, spiccano Eurobond, Spending review, fondi pensione e valorizzazione di immobili pubblici.
I soldi ci sono e Confindustria indica pure come e dove è possibile recuperarli perché l’Europa, le imprese e la politica nazionale a tutti i livelli, li impieghino in modo produttivo lungo sei assi prioritari di intervento, gli stessi che sono stati oggetto di discussione nei Tavoli che hanno animato i lavori che hanno preceduto la plenaria la mattina del 16 febbraio.
I SEI ASSI DI INTERVENTO
1.Un’Italia più Semplice ed Efficiente – Nel nostro Paese sono talmente tante le leggi tributarie che risulta impossibile perfino stabilirne il numero con contezza. Se a questo si aggiunge la perenne incertezza applicativa, la giustizia lenta e le infrastrutture insufficienti, è facile desumere quanto complicata sia la vita di cittadini e imprese. Pertanto, la proposta di Confindustria è quella di «passare da uno Stato mero erogatore di servizi a uno Stato promotore di iniziative di politica economica». L’idea è quella di assegnare una funzione redistributiva alla spesa pubblica attraverso la compartecipazione dei cittadini ai servizi offerti in modo progressivo rispetto a reddito e patrimoni.
2. Prepararsi al futuro: scuola, formazione, inclusione giovani – L’obiettivo è far sì che cresca il numero degli occupati, specie tra i giovani. Vanno create, però, le necessarie condizioni di contesto perché il percorso formativo sia utile e rispondente alle richieste del mercato. Largo, allora, a una maggiore autonomia delle scuole, al rinnovamento delle Università, al potenziamento degli Istituti tecnici superiori e all’alternanza scuola-lavoro.
3. Un Paese sostenibile: investimenti assicurazione sul futuro – Per Confindustria tra gli investimenti prioritari spicca la dotazione infrastrutturale del Paese, non solo perché requisito imprescindibile per la crescita, ma anche perché indispensabile nel mettere in comunicazione «i territori, le periferie ai centri, le città tra di loro, l’Italia al mondo, dando un maggiore senso di coesione al Paese. Obiettivi che si possono raggiungere solo attraverso un’azione coordinata tra settore privato, istituzioni europee, governo nazionale, regioni ed enti locali».
4. L’impresa che cambia e si muove nel mondo – Confindustria pone forte l’accento, anche in questo documento di “visione e proposta”, sulla necessità di trasformazione che le imprese devono compiere al loro interno, accettando di aprire il capitale, di assumere competenze innovative, di diventare eccellenti in ogni funzione aziendale e non solo buoni produttori, come lo stesso Vincenzo Boccia da anni ama ripetere.
5. Un fisco a supporto di investimenti e crescita – Vanno premiate, e non ulteriormente vessate, le imprese che investono, assumono e innovano, diventando fattore di competitività per il Paese.
Il richiamo è alla centralità dell’industria come antidoto alla stagnazione e alla bassa crescita, oggi e, ancor di più, negli anni a venire. Bisogna insistere sulla contrattazione di secondo livello per ottenere la riduzione del costo del lavoro che – come si legge nel documento – «vada a totale vantaggio dei lavoratori per agevolare lo scambio salari-produttività. Per i giovani al primo impiego resta il totale azzeramento degli oneri per tre anni».
6. Europa miglior luogo per fare impresa – Già dalle relazioni di José Manuel Barroso e Marc Lazard – entrambi protagonisti di un interessante dibattito sull’Europa, moderato dalla giornalista Maria Latella – era emerso con chiarezza il bisogno di una forte Europa che, come Boccia ha poi ribadito, deve integrarsi perché «è il mercato più ricco del mondo con un debito integrato inferiore a quello degli Usa».
Citando una frase dell’ex presidente Usa Theodore Roosevelt: «Parla con dolcezza e portati dietro un grosso bastone», Vincenzo Boccia ha senza mezzi termini precisato la sua idea di Europa: «Il bastone contro i protezionismi si chiama Europa».
L’Europa che serve all’Italia è quella che supporta lo sviluppo della conoscenza, della ricerca e dell’innovazione contribuendo altresì alla definizione di un quadro macroeconomico stabile.
Un’Europa in cui si dovrebbe prevedere la nomina di un ministro delle Finanze indipendente dagli Stati membri che abbia la responsabilità, tra l’altro, di emettere eurobond finalizzati al finanziamento di progetti comuni. Questo permetterebbe un piano straordinario di investimenti europei per dotare anche il nostro Paese dell’eccellenza in termini di ricerca, formazione, infrastrutture.
Quella di Verona – una platea di circa 7000 imprenditori provenienti da tutta Italia – è la Confindustria alla maniera di Boccia.
È così che l’imprenditore salernitano la aveva immaginata fin dall’inizio della sua presidenza due anni fa. Una Confindustria che si muove come un’associazione di progetto, proposta e denuncia, espressione delle imprese grandi, piccole e medie, in grado di essere attore protagonista, di farsi sentire con una sola voce, capace di raccogliere e dare corpo ai bisogni e alle proposte del mondo produttivo. Da questo spirito identitario è nato il documento che ha illuminato le Assise di Verona, sintesi compiuta e puntuale di un percorso di ascolto ed elaborazione della “base associativa”, maturato nei quattordici incontri svoltisi nei quattro mesi precedenti su tutto il territorio italiano con il coinvolgimento di 8500 imprenditori.
Ora ci si augura che questo corposo lavoro, presentato sotto l’unica insegna dell’interesse nazionale, possa servire da bussola alla politica nell’elaborazione di un piano organico di disegno economico, inclusivo e incentrato sulla crescita.
Un piano, quello di Confindustria, che sa di rivoluzione sì, ma incrementale.
A renderlo diverso, specie dalle promesse elettorali per oltre 1000 miliardi, è la sua cifra empirica.
Un documento particolareggiato e allo stesso tempo di visione, che guarda ai singoli alberi, senza perdere di vista le necessità dell’intera foresta. Previsioni sì, ma ragionate, caute, che guardano al futuro perché di esso un domani il Paese non avverta mai la nostalgia.