Al turismo nazionale occorre un aiuto forte alla fiscalità, soldi veri e non solo prestiti. Dalle aspettative sul “decreto aprile” ai cambiamenti necessari per il comparto: tanti sono i temi su cui si è espresso il direttore generale di Federturismo
Direttore, partiamo dalla conta dei danni. Federturismo comprende ben 20 diverse filiere tra strutture di accoglienza, servizi di trasporto, portualità, stabilimenti balneari, svago. Quanto male ha già fatto e quanto ne potrebbe fare in prospettiva l’emergenza sanitaria determinata dal coronavirus?
Gli effetti del coronavirus sulla filiera del turismo sono devastanti. Già a marzo, all’inizio dell’emergenza, le perdite complessive si stimavano attorno ai 30 miliardi di euro, ma adesso si teme possano arrivare a 66 miliardi di euro. Per non parlare dei tempi per la ripresa che si prevedono molto lunghi. Dal rapporto dell’Enit emerge che per poter riavere nel nostro Paese lo stesso numero di turisti internazionali del 2019 dovremo aspettare fino al 2023.
Un aiuto per la ripartenza della ricettività potrebbe essere quello di allungare le attività da agosto a dicembre?
Considerando che la ripartenza sarà lenta e a fasi alterne e che alcune strutture ricettive avranno difficoltà ad aprire ai loro clienti già dal mese di giugno, si potrebbe prevedere di allungare la stagione turistica fino a dicembre purché sia fatto in maniera programmata e seria. Molti alberghi sarebbero favorevoli. Si dovrebbe però poter posticipare il rientro sui banchi di scuola a settembre inoltrato, e non nei primi giorni del mese come per il momento è da programma.
Quanto è necessario, secondo lei, un protocollo sanitario europeo unico cui attenersi per il contenimento del virus in ambito trasporti e non solo?
L’ipotesi di un passaporto sanitario per consentire ai turisti di muoversi liberamente tra i paesi dell’Unione europea in modo da poter riaprire gradualmente le frontiere interne e consentire i viaggi transfrontalieri già da quest’estate potrebbe essere una buona idea a patto che si adotti, però, un metodo comune a livello europeo per certificare lo stato di salute del cittadino con regole uguali per tutti. Dobbiamo scongiurare che si approdi ad accordi bilaterali tra i Paesi dai quali l’Italia potrebbe risultare esclusa o penalizzata.
Molti scali aeroportuali lamentano il ritiro dei servizi low cost su alcune rotte, con le compagnie attratte da sirene Paesi che promettono maggiore traffico, meno tasse e incentivi. La preoccupazione è che si distruggano relazioni costruite negli anni e che si riduca notevolmente l’offerta per chi è abituato a viaggiare a basso costo. Come si può agire in favore verso il sistema dei trasporti?
Viaggiare in aereo per i prossimi mesi non sarà più come prima e le compagnie aeree low cost sono quelle che rischiano di più. Per poter rimanere sul mercato saranno costrette a rivedere il loro modello di business che si fonda su comportamenti sociali che oggi – e probabilmente ancora per un po’ – saranno impraticabili. Le compagnie aeree e le società di gestione degli aeroporti premono affinché il distanziamento sociale non venga introdotto tra i requisiti per riprendere a volare.
Non solo per le difficoltà logistiche, ma anche per le ricadute economiche che avrebbe sulle casse delle società, costringendo per esempio i vettori a sacrificare almeno un terzo dei ricavi. Il trasporto aereo si dovrà avviare verso una rimodulazione che sarebbe stata comunque inesorabile anche se necessariamente più lenta. Per il comparto low-cost, che era già in difficoltà, la pandemia non farà altro che accelerare alcuni cambiamenti che erano in atto. Ci sarà ancora una concorrenza sui prezzi, ma le differenze con le compagnie tradizionali si ridurranno.
Con ogni probabilità, il turismo dei prossimi mesi sarà più “povero”, per la crisi generalizzata della nostra economia e anche perché isolamento e paura del contagio incideranno sulla scelta di fare vacanza, non solo di dove farla. Condivide?
É inevitabile che il modo di fare turismo sarà stravolto e gli italiani avranno tutti una minore capacità di spesa. Indipendentemente dalle restrizioni imposte dai vari Paesi, c’è ancora molta paura individuale anche se si stanno cercando delle buone motivazioni per tornare a viaggiare. Possiamo comunque ipotizzare che sarà un turismo che privilegerà l’Italia meno nota, le attività open air e il turismo lento. Dovremo tornare, almeno per quest’ anno, ad essere turisti a casa nostra.
Decreto aprile: quali misure dovrebbe necessariamente contenere per la filiera turistica?
Nel decreto di aprile ci aspettiamo misure serie, un aiuto forte alla fiscalità, soldi veri e non solo prestiti. Servono finanziamenti immediati a fondo perduto così come è necessario lo stralcio totale delle imposte dirette per tutto il 2020. Le imprese del turismo non sono disposte a pagare le tasse per un periodo nel quale non hanno incassato nulla. Servono interventi mirati, dedicati alle specifiche esigenze delle imprese turistiche che sono e saranno per chissà quanto tempo ancora, le più colpite dalla pandemia, adottando scelte immediate e mobilitando cospicue risorse, altrimenti con il blocco dell’offerta e il crollo totale della domanda si rischia di assistere alla loro moria nel giro di poco.
Torneremo presto a essere il Belpaese da vivere?
I tempi di rientro alla normalità saranno lunghi, in particolare per la clientela internazionale che costituisce la metà del nostro mercato. Per vedere in Italia lo stesso numero di turisti internazionali del 2019 dovremo aspettare il 2023. Un anno in meno, invece, per il recupero dei flussi sul mercato interno. Le prime a ripartire saranno quelle città d’arte che possono contare su un turismo prevalentemente domestico. Sarà difficoltoso, ma ci risolleveremo anche questa volta.