Basso, Confindustria Campania: «Fare impresa in Italia? Una missione oggi quasi impossibile»

sabino bassoIl presidente degli industriali campani testimonia a gran voce il malcontento degli operatori privati, vessati da troppi costi supplementari e incer tezze. «Per non cessare le attività – denuncia Sabino Basso – molti sono obbligati a produrre fuori del proprio territorio. Una necessità, non una libera scelta»

Presidente Basso, nelle scorse settimane lei senza mezze misure ha indicato la delocalizzazione come unica via per continuare a fare impresa, specie per gli imprenditori del Sud. Prima ancora che minori tasse e costi, o di incentivi per rimanere a operare nel nostro Paese, lei chiede che si guardi con occhi nuovi alle aziende: perché questo grido di allarme e a chi è rivolta la sua denuncia?
Gli imprenditori hanno diritto ad un maggior rispetto e ad una maggiore riconoscenza da parte delle Istituzioni per il contributo che apportano al proprio territorio. Invece, da un lato, non si sostiene l’attività di impresa cercando di creare le condizioni di contesto più
favorevoli, dall’altro, si grava sulle aziende con un sistema di tassazione tra i più alti d’Europa.

Rispetto al problema dei controlli fiscali e non solo esiste una differenza Paese? Anche in questo ambito l’imprenditore del Sud paga un fio più alto?
Sì, anche in questo caso la differenza tra il nord e il sud del Paese risulta evidente, in termini di approccio con il quale le verifiche ispettive vengono effettuate. Mi riferisco naturalmente non alla necessità dei controlli in sé da parte delle istituzioni preposte, bensì alle modalità con cui essi sono in concreto attuati: veri e propri blitz che comportano, in molti casi, addirittura il blocco della produzione, con evidenti danni economici per l’azienda.

La tendenza di mantenere in Italia le strutture indispensabili (amministrazione, commerciale, ufficio tecnico, solo per citarne alcuni) per spostare il resto verso paesi con infrastrutture, incentivi e costi minori ha convinto anche lei vero?
Se gli imprenditori decidono di produrre al di fuori del proprio territorio lo fanno solo perché non hanno scelta, non certo perché sono felici di farlo. In molti casi l’alternativa è la cessazione dell’attività, con conseguenti ripercussioni sull’occupazione e sul prodotto interno lordo. Per questo – come Associazione degli Industriali – noi abbiamo il dovere di indicare ai nostri Governanti la strada per evitare il verificarsi di tali scelte tanto disastrose per il nostro territorio.
 

 

Più in generale, in Campania – con la crisi – le sirene dei Paesi Esteri, specie di quelli dove il costo della manodopera è più basso e la burocrazia non lascia pratiche in sospeso per anni, quanto si sono fatte insistenti?
Certamente con la crisi il fenomeno si è acuito e le aziende preferiscono quei Paesi dove l’attività d’impresa viene incoraggiata e sostenuta, non affossata con le tasse e con una burocrazia dai tempi indeterminabili. Noi imprenditori non vogliamo agevolazioni, vogliamo solo essere messi in condizione di lavorare senza aggravi ulteriori provenienti dal contesto in cui operiamo.
 

 

Provi anche lei a indicare tre cose, le prime tre cose urgenti, che il Governo dovrebbe fare per le imprese.
Ne basterebbero due: ridurre la tassazione sulle imprese e semplificare la burocrazia delle procedure collegate all’attività d’impresa. Basti pensare che la pressione fiscale sulle imprese italiane è superiore al 68% rispetto alla media dell’Unione Europea e che, tra il 2008 e il 2014, sono state approvate 629 norme fiscali, di cui 389 introducono nuovi adempimenti per le imprese: quindi quasi due nuove norme fiscali su tre aumentano i costi burocratici per le imprese. La burocrazia, è noto, non genera semplici scocciature ma un vero e proprio danno economico. L’espletamento degli adempimenti sottrae tempo e il tempo sottratto è una perdita a tutti gli effetti,
monetizzabile ovviamente; poi, se aggiungiamo il lavoro da assegnare ai consulenti per la predisposizione dei documenti, comprendiamo come i costi non possano che salire.
 

 

E sulle relazioni industriali cosa è necessario fare?
Si deve puntare ad un sistema di relazioni industriali che garantisca la massima flessibilità nelle regole ma, soprattutto, la massima coerenza e responsabilità nei comportamenti. Come afferma sempre il Presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, le relazioni industriali devono rappresentare un fattore di competitività, un veicolo di innovazione, di crescita culturale, di responsabilità sociale.
 

 

Succederà secondo lei che il “meglio andrà fuori dell’Italia”?
Sta già accadendo. Il problema oggi è evitare che fuori dell’Italia vada anche tutto il resto. Per questo motivo il Governo deve ascoltare con più attenzione le istanze del mondo produttivo. Non si può ignorare il fatto che siano le aziende a creare ricchezza per il territorio.