Occorre fornire maggiori indicazioni e rassicurazioni su questo tipo di investimenti: se non sono trasparenti, non possono essere sostenibili
Segretario, cosa è la finanza sostenibile e quali criteri la rendono tale?
La finanza sostenibile promuove forme di investimento che integrano nella selezione dei titoli, accanto all’analisi tradizionale, i criteri ESG – criteri ambientali, sociali e di governance – che non solo contribuiscono allo sviluppo sostenibile, ma possono migliorare sensibilmente le caratteristiche di rischio-rendimento dei portafogli nel medio-lungo termine.
Da comparto di nicchia, quello della finanza sostenibile è ormai divenuto un mercato mainstream in termini di masse in gestione, non speculativo ma fortemente legato all’economia reale.
A livello europeo, i numeri sono infatti significativi. Parliamo di circa 12/13mila miliardi che corrispondono al 46% dei volumi finanziari a livello mondiale. Di questi, il mercato italiano copre circa 1600/1700 miliardi, ovvero il 9% del totale europeo. Cifre che ci pongono sì dopo i mercati di UK e Francia, che hanno avviato questa esperienza da tempo, ma più avanti dei tedeschi. Quella italiana è pertanto una buona pratica di un mercato che, seppur giovane, continua a crescere anche in situazioni di congiuntura negativa.
Il settore deve la sua appetibilità alla riduzione del rischio degli investimenti, in molti casi associato a buoni livelli di rendimento, pari se non superiori ai fondi finanziari, perché integrando i criteri ambientali, sociali e di governance nella fase iniziale di selezione degli investimenti, si riescono ad anticipare alcune esternalità negative che rendono l’investimento stesso maggiormente rischioso.
Investire in finanza sostenibile, dunque, può essere conveniente.
Cresce il mercato così come negli anni è cresciuto il Forum, di cui lei è segretario generale.
Il Forum, nato nel 2001, ha 18 anni di attività; solo negli ultimo quattro la base associativa è passata da una cinquantina a oltre 100 soci. La partecipazione è aperta non solo agli operatori del settore finanziario, ma a tutti i soggetti interessati dagli effetti ambientali e sociali dell’attività finanziaria. Nello specifico sono parte attiva del Forum per la finanza sostenibile: banche e imprese assicuratrici, fondazioni, fondi pensione, società di gestione del risparmio, di ricerca, formazione, consulenza ma anche tanto terzo settore, rappresentato da associazioni di consumatori, non profit, ONG e sindacati. Siamo ormai diventati un punto di riferimento sia per le istituzioni, sia per il mercato.
Oltre ad attività di comunicazione e ricerca, il Forum collabora e svolge attività di advocacy con istituzioni italiane, in particolare con il Ministero dell’Ambiente e il Mef.
Una parte delle attività di advocacy è a Bruxelles. Il Forum è infatti membro di Eurosif, associazione impegnata a promuovere la finanza sostenibile nei mercati europei.
Ed è proprio a Bruxelles che si sta giocando una partita fondamentale, quella del Piano d’Azione sulla finanza sostenibile. Con questo documento, presentato lo scorso anno, l’UE si è dotata di una precisa tabella di marcia per rafforzare il ruolo della finanza nella transizione verso un’economia sostenibile, in linea con l’Accordo di Parigi sul clima.
A tal proposito, nel 2021 alcuni elementi come la finanza a impatto climatico saranno tradotti in regolamenti obbligatori direttamente nei Paesi membri. Che effetti concreti si avranno tra gli operatori del settore e quali saranno le ricadute sulla collettività?
La situazione è questa: a livello europeo opera il Technical Expert Group on Sustainable Finance (TEG), un gruppo di esperti che supporta la Commissione UE nell’attuazione di alcune misure contenute nell’Action Plan e che ha pubblicato quattro report su tassonomia delle attività economiche eco-compatibili; standard europeo per i green bond e benchmark climatici e nuovi requisiti di disclosure ESG per tutti i benchmark; nuove linee guida per la rendicontazione delle informazioni sul clima da parte delle imprese.
La tassonomia, in particolare, indicherà agli operatori finanziari in modo unificato come orientare gli investimenti per sostenere la transizione verso una crescita economica priva di impatti sull’ambiente. Per il momento il TEG si è concentrato sul cambiamento climatico, individuando le attività che contribuiscono alla mitigazione e all’adattamento.
Il secondo report propone criteri unici per l’emissione di green bond: in particolare, le misure fanno riferimento alla tassonomia per indicare quali attività economiche possono essere finanziate attraverso le obbligazioni verdi.
La creazione di un modello europeo (“EU Green Bond Standard”) sarà determinante per aumentare la trasparenza del mercato e la comparabilità dei prodotti, con l’obiettivo di accrescere il volume degli investimenti. Le premesse sono ottime, dunque, ma bisognerà aspettare che i tavoli di negoziazione vengano riavviati con il nuovo Parlamento europeo per capire cosa succederà in concreto.
A chi conviene allora scegliere un investimento sostenibile?
Nel segmento retail, conviene a tutti i cittadini perché – come detto – si tratta di investimenti potenzialmente meno rischiosi, spesso remunerativi quanto quelli tradizionali.
Non conviene però solo al singolo investitore: anche le aziende possono ricapitalizzarsi e rifinanziarsi attraverso strumenti e strategie di finanza sostenibile potenzialmente meno rischiosi, spesso remunerativi quanto quelli tradizionali.
Vero è che ancora persistono dubbi e scetticismi sulla bontà di questi investimenti perché c’è poca informazione al riguardo.
Occorre, pertanto, fornire maggiori indicazioni e rassicurazioni su questo tipo di investimenti, rimarcando l’impostazione di base che già di per sé è rivoluzionaria: se un investimento non è trasparente, non può essere sostenibile.
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